“A DIRTY CARNIVAL” DI YOO HA

Una storia sporca

Byunng-doo è un giovane gangster alla ricerca di un miglioramento nella sua mediocre carriera da malavitoso. Sia perchè deve mantenere e badare a una madre malata, oltre che a una sorella e a un fratello (già sulla cattiva strada, ovvero quella di Byung-doo) più piccoli, ma anche e soprattutto perchè si sente migliore del suo capo, Shang-chul, un piccolo boss arrogante e irriconoscente verso i sacrifici di Byung-doo.

La ghiotta occasione arriva quando il grande capo, Hwang, viene ripetutamente importunato da un funzionario pubblico corrotto. Byung-doo prende la palla al balzo, e propone la sua candidatura per eliminare il funzionario (dopo che Shang-chul aveva rifiutato la proposta di Hwang, trattandosi di un lavoro troppo rischioso). Hwang accetta di buon grado la proposta, e la carriera del Nostro, da questo momento in poi, subirà il tanto agognato decollo.
Negli stessi giorni, Byung-doo viene rintracciato da Min-ho, vecchio compagno di scuola e ora regista, il quale, dovendo preparare un gangster movie e volendolo fare molto più realistico dei classici film sui malavitosi, si rivolge all’amico d’infanzia chiedendogli, per così dire, una consulenza. Il film che Min-ho realizza è fin troppo realistico: racconta per filo e per segno le efferate malefatte della banda di Byung-doo; il confronto, e lo scontro, fra i due amici sarà inevitabile.

Può un film pieno di difetti – incredibilmente prolisso, che si avvale di una trama decisamente pesante, registicamente lineare, se non banale – essere comunque un lavoro che colpisce e appassiona? La pellicola del regista e poeta coreano Yoo-ha, autore anche della sceneggiatura, risponde positivamente al quesito. Sopperisce ad alcuni difetti già elencati caratterizzando il suo film con una crudezza, un realismo violento (esattamente come Min-ho nel film vorrebbe fare, interessante esempio di realtà che diventa cinema e viceversa) che convincono e donano alla pellicola un’atmosfera molto peculiare.

Non dovesse bastare questo, Yoo-ha gestisce la sua interminabile trama con un ritmo abbastanza sostenuto che riesce a far dimenticare almeno in parte la prolissità della sceneggiatura. Fedele a questa linea di crudezza, il regista non si lascia andare a scene pesantemente melodrammatiche (che per una storia ad alto tasso drammatico come questa sarebbero potute essere molte), non concedendosi nemmeno orpelli registici quali dolly e ralenti (si contano una gru e una brevissima scena al rallentatore), rispettando dal primo all’ultimo fotogramma, con grande coerenza, la scelta di una regia stilisticamente asciutta, a volte spiccia, ma sempre molto funzionale.

Regia: Yu Ha
Anno: 2006
Durata: 141′ min
Stato: Corea