Puntuale come il succedersi delle stagioni, la Biennale di Venezia estrae dal suo scrigno i suoi vari tesori: dopo l’arte che ha invaso i Giardini ed alcuni Palazzi veneziani, è ora il turno della danza.
Nelle sue prime edizioni primeggiavano gli appassionati e gli esperti del settore, specie le maestre delle numerose scuole di danza aperte nel territorio veneziano e un po’ dovunque in Italia, la consacrazione definitiva del fenomeno si è ormai consolidata. All’inizio, però, la staticità delle ballerine e dei ballerini, la mancanza di ritmo, le passeggiate lungo il palcoscenico e spesso fra le poltrone degli spettatori avevano lasciato sconcertati. Ci si era sentiti un poco presi in giro prima di convincersi che il tempo dei fronzoli delle piroette e dei fru fru era definitivamente passato. Si pensa allora nelle lunghe pause in cui i ballerini se ne stanno fermi con qualche raro movimenti che ricorda quelli dei giocatori per riscaldare i muscoli prepartita ed è quindi inevitabile cadere nel déjà vu, nel ripetitivo. Negli spettacoli che hanno dato il via alla edizione 2015 è stata ancora una volta la bravura straordinaria delle ballerine e ballerini a dare smalto alla performance accolta giustamente da lunghi applausi convinti. Si chiude il 28 giugno dopo avere ancora superato il record delle presenze delle precedenti edizioni con grande soddisfazione di tutti gli addetti.
Non sono solo i teatri le sedi degli spettacoli, che sono invece sparsi anche nei campielli . Suonano un po’ pomposi e in certi casi ridicoli i titoli che gli autori hanno dato ai loro spettacoli e l’enfasi del significato da dare loro. Ad esempio Emanuele Gat (Third Song) definisce le sue creazioni una trasposizione delle relazioni sociali in forma coreografica, una sorta di mappa del flusso internettiano di informazioni che scorre incessante fra le persone. Un dialogo frenetico e incessante che resuscita l’aria allucinante e mistica dei balli dionisiaci nelle foreste della antica Tracia. Si respira Euripide e l’angoscia di sbarrati rapporti della nostra epoca soffocatrice di spontaneità.
Alla Tese dei Soppalchi è di scena Vastagos: interpreti i giovanissimi danzatori della sezione Vita Nova di Biennale College guidati da Sharon Fridman, come Gat, affermatosi in Europa. Fridman raccoglie con una delicatezza di una giovane madre l’innocenza di fanciulli e il canto ancestrale di un popolo immerso nelle tragedie del secolo trascorso. Fridman é un israelita: si porta inzuppata nella sua pelle la sofferenza del suo popolo. Le onde allegoriche gestuali dei giovanissimi corpi costretti a trascinarsi raso terra cantano il travaglio di secoli assecondati da un cantico sofferente non esente da salmodie bibliche.
Marini Giovannini, con Verve, porta avanti con Claudia Castellucci, l’educazione adolescenziale in una scenografia di fervida vitalità dai ritmici gesti primaverili che preconizzano pure le angolosità di un proseguo di intensa meditazione che la musica sottolinea con grazia.
Annne Teresa De Keersmaeker – la Premiata – spazia con i quattro quadri di “Fase” dalla danza alla musica, alle fisionomie complicate e sofferenti delle società, all’armonia della bellezza geometrica. Musica e danza non completamente fuse, ma ciascuna fiere della loro indipendenza e preziose per i loro messaggi. Piano Phase: rette e cerchi danzano assieme affondando e armonizzando gli stessi movimenti. In “Come out” le teste e le braccia e busto sbocciano cerchi in acrobazia e significati allegorici. Violin Phase resuscita la danza dei dervishi fondendo luci e movimento in cerchi di ascetici accenti musicali. Chappling Music esalta la linea retta suggerendo strade di infinite ansietà e mete da raggiungere. Tripudi di applausi rendono il dovuto e spontaneo omaggio a una magistrale creatrice della coreografia contemporanea.
Sorprende L’Excepts of Low Pieces di Xavier Le Roy immerso nell’oscurità da cui emergono interrogazioni e risposte –attori e pubblico – foriere di riflessioni e curiosità di ulteriori simbologie : nelle tenebre in cui tutto si livella si fa pulizia del superfluo e ci si ritrova a tu per tu con la nostra fragilità e con l’ansia di uscire alla luce con dignità e purificazione.
Lo Squero di San Trovaso, uno dei pochi attivi ancora a Venezia per la costruzione delle gondole, ospiterà una giovane autrice Annamaria Aimone presente con una performance dal titolo “Dimora” ricca di memorie ed echi ancestrali.
Camminare a Venezia facendosi largo fra la ressa dei turisti non è impresa facile e se poi l’ultimo tratto dell’Arsenale per raggiungere i padiglioni è cosparso di fine ghiaino che si insinua insidioso nei sandali estivi, appare doppiamente apprezzabile il punto di ristoro collocato di fronte alla magnificenza di un mare cangiante sotto la luce di uno splendente tramonto estivo. Si è pensato al corpo e allo spirito per lasciare un ricordo indimenticabile della vista nella città lagunare.
Il 28 giugno danzatori e coreografi partiranno per nuovi lidi.