“Bug” di William Friedkin

Il seme della paranoia

Americana
La laconica Agnes (Ashley Judd) vive in uno squallido motel lungo una polverosa statale nel mezzo degli Stati Uniti. Sbarca il lunario facendo la cameriera in un locale gay; si concede rare serate di sballo a base di whisky e cocaina con una sua amica. Non ha più niente da perdere dopo che, dieci anni prima, suo figlio è stato dichiarato scomparso. Tira avanti convivendo con le sue fobie e i fantasmi del passato – tra cui un marito violento che ogni tanto le fa visita – in un mondo che ha sempre meno da offrirle. Ma un giorno incontra Peter, introverso e sensibile reduce della Guerra del Golfo che nasconde più di un segreto e molte paure. Insieme intraprenderanno un viaggio senza ritorno per liberarsi di tutte le miserie che hanno distrutto le loro vite.

Presentato al Festival di Cannes 2006, Bug si propone come claustrofobico ritratto dell’isolamento e della frustrazione in cui la società d’oggi costringe molti individui. Persone ai margini, disadattati, reduci, sconfitti e malati non trovano posto nelle ristrette e frenetiche gerarchie della “normalità”. Agnes e Peter, border liners, si completano nelle loro incertezze, si attraggono nelle loro debolezze, si amano nello sconforto; trovano la salvezza nella malattia e la gioia nel dolore, anche fisico. Le loro povere e prosciugate esistenze vedono una speranza nel riconoscimento reciproco, nella fiducia senza garanzie, nella fede data dalla disperazione. Agnes e Peter non hanno niente da perdere, ma molto da condividere; ciò che li unisce è la vana – paranoica – certezza che tutto abbia un significato, una giustificazione, un disegno programmato.

Tratto da un testo teatrale e girato praticamente tutto all’interno di un motel, Bug mira a colpire lo stato di paranoia in cui sembra essere caduta la società dei nostri giorni. La fobia dell’assedio e la conseguente chiusura in se stessi non possono che rimandare all’attuale situazione post 11 Settembre, mentre le teorie del complotto e degli esperimenti militari a cui pensano di essere sottoposti i protagonisti fanno parte di una lunga tradizione fantapolitica che parte dagli anni ’50. Agnes e Peter si convincono l’un l’altro di essere osservati, di essere cavie di qualcuno che si fa beffa di loro perché non hanno nient’altro in cui credere. E allora meglio gettarsi a capofitto nella follia, nell’impossibile, nella malattia piuttosto che non avere nulla in cui credere, nessun motivo per andare avanti.

Gli interrogativi sollevati da Friedkin (autore del cult L’esorcista, 1973) in questa piccola pellicola prodotta dalla Lions Gate – specializzata in horror, ma non solo – sono senz’ombra di dubbio accattivanti. L’isolamento e l’imbarbarimento sociale che conducono alla psicosi, all’autolesionismo e all’estraniamento si rivelano tematiche quantomai contingenti e instillano nello spettatore un senso di perverso disagio. Ma, purtroppo, in Bug prevalgono la “malattia” sulle cause sociali, la follia sulle implicazioni politiche, la violenza fisica su quella psicologica. La psicosi dei protagonisti, che credono di essere circondati e infestati da insetti, assume i tratti di una patologia mentale conclamata più che di una lenta deriva personale e la carica eversiva del film sembra risentirne non poco. In ogni caso un tentativo originale di affrontare tematiche scomode senza troppi condizionamenti e inutili moralismi; un altro tassello per comporre il puzzle quantomai frammentato e complesso dell’America di oggi.

Bug);
Regia: William Friedkin;
sceneggiatura: Tracy Letts;
fotografia: Michael Grady;
montaggio: Darrin Navarro;
musica: Brian Tyler;
interpreti: Lynn Collins (R.C.), Harry Connick Jr. (Jerry Goss), Ashley Judd (Agnes), Brian F. O’Byrne (Dr. Sweet), Michael Shannon (Peter);
produzione: Kimberly C. Anderson, Michael Burns, Gary Huckabay;
origine: USA 2006