Il regista Gennaro Nunziante, l’attore Luca Medici (in arte Checco Zalone), l’attrice Nabiha Akkari e il produttore Pietro Valsecchi hanno presentato a Milano Che bella giornata, ultimo divertente film con protagonista l’acclamato Checco, comico di Zelig.
Il lungometraggio racconta la storia di Checco Zalone, meridionale dal cuore tenero, addetto alla sicurezza presso il Duomo di Milano. L’ingenuo protagonista si innamora di Farah, fascinosa ragazza che si finge studentessa francese di architettura e invece è araba e sta pianificando, insieme al fratello, una personale vendetta.
Luca Medici e Gennaro Nunziante hanno iniziato la conferenza stampa parlando della genesi dello script.
Come è nata la sceneggiatura di questo film? Cosa vi ha ispirato per scriverla?
Nunziante: Dopo Cado dalle nubi ci siamo incontrati con Pietro Valsecchi e ci siamo interrogati su cosa fare. Non avevamo voglia di toccare nulla di Cado dalle nubi e di ricollegare il secondo film al primo. Il nuovo lungometraggio doveva partire da una specie di barzelletta: cosa succederebbe se un terrorista incontrasse una famiglia di meridionali. E allora ci siamo divertiti molto. Nel nostro caso la tematica che ritorna è solo il «meridionalismo», il nostro essere del Sud. Non volevamo però fosse presente solo un comico al centro del film e abbiamo quindi sviluppato diversi personaggi secondari, come il papà di Checco o quelli legati al mondo della chiesa.
Zalone: Sull’onda dell’entusiasmo dell’altro film c’è stata una nuova spinta creativa. Io sono nuovo (come si dice?…«neofita») di questo mondo del cinema, ma penso che il momento più bello sia quello in cui ci si incontra, si crea, si discute con il produttore e si fa il casting. Il momento più drammatico (ridendo) è invece quello in cui si vedono le facce delle persone appena uscite dalla sala dove è stato proiettato il film. L’essere sottoposti al giudizio.
Come avete ottenuto questa compattezza nella sceneggiatura del film?
Zalone: Diverse tentazioni di moralismo sono state tolte da alcune sequenze e poi abbiamo anche eliminato alcune parti comiche in cui ci lasciavamo andare un po’ troppo.
Nabiha Akkari, tu sei la protagonista femminile del film: parlaci un po’ di te.
Akkari: Sono cresciuta in Francia, ma ho origini tunisine. Attualmente lavoro da due anni per la televisione francese e anche a teatro a Parigi. Luca e Gennaro mi hanno contattata per interpretare Farah poiché non avevano ancora trovato una ragazza adatta. Mi hanno fatto fare il provino e poi ho avuto la parte.
Pietro Valsecchi, come è stata quest’avventura produttiva con Chezzo Zalone?
Valsecchi: Abbiamo debuttato con Cado dalle nubi e questo ci ha portato molta fortuna. Lavorare con Checco e con Gennaro è straordinario e Che bella giornata ha avuto una lunga gestazione di montaggio poiché loro girano e buttano continuamente. Con tutto il materiale che hanno buttato in realtà usciranno un secondo e un terzo film e quello sarà il vero successo. Ovviamente scherzo.
Checco, quando lavoravi solo in televisione, avevi già in mente di dedicarti al cinema?
Zalone: È una tentazione alla quale è difficilissimo resistere quella di vedere la tua faccia proiettata sul grande schermo. Quando infatti Gennaro me l’ha chiesto non ho saputo dire di no. Noi poi siamo amici anche nella vita, lavoriamo insieme, conosciamo i nostri linguaggi e penso che questa sia una fortuna. Io non saprei fare da solo il regista, un lavoro che deve fare tante… (no, ma aspetta. Che cos’è il regista?)
Nunziante: Luca è una testa pensante e pensata. Il nostro equilibrio sta nelle nostre età diverse. Due generazioni che hanno vissuto diversamente anche l’ambito musicale, che è il linguaggio che ci piace di più attraversare. Il fatto che io vada per i cinquanta e lui per i trentacinque ci unisce nel trovare poi un punto di incontro. Per quanto riguarda il passaggio dalla televisione al cinema, secondo me l’importante era modificare il linguaggio: applicare le regole di linguaggio del cinema e non della TV. In televisione Luca è chiamato a fare delle «lampischerie», parlare in tre o quattro minuti e poi uscire di scena. Il cinema permette invece di allargare il tessuto narrativo. Noi poi abbiamo un grosso problema: sentiamo sempre la necessità di far ridere, dall’inizio alla fine del film. È una cosa veramente difficile, ma ce la mettiamo tutta. Non amiamo molto quella forma di commedia in cui la risata è centellinata e preferiamo la presenza di un nervo comico continuo e costante. È questa la cosa che ci mette più in difficoltà e che soprattutto in fase di montaggio cerchiamo di sviluppare. Anche per questo giriamo molto, tagliamo molto e lavoriamo per mesi al fine di trovare quest’equilibrio.