Venezia 68. Concorso
Un giovane di undici anni ferisce un suo coetaneo con un bastone in una lite al parcogiochi. Il banale incidente porta all’incontro dei genitori, che si trovano per parlare del misfatto a casa della famiglia della “vittima”, nel loro appartamento di Brooklyn. Quella che doveva essere una civile discussione fra persone adulte, un atto formale di educazione, degenera ben presto in uno scontro che fa emergere i problemi di coppia, le ipocrisie e le frustarzioni delle due famiglie borghesi. Forse l’atto violento dei figli rispecchia la vera natura della società, mentre il dibattito posato che le coppie cercano con scarso successo di inscenare è solo un goffo mascheramento delle vere pulsioni umane?
Da sempre lo sguardo di Polanski, uno dei maestri indiscussi del cinema degli ultimi cinquanta anni, è stato attento al teatro, presente più di quanto si creda nelle sue opere. In questo caso il regista parte da una pièce di enorme successo dell’autrice francese Yasmina Reza, Il dio della carneficina, adattandola per il grande schermo mantenendo salda l’impronta teatrale. Unitari sono lo spazio, il tempo, l’azione, una stanza spostata da Parigi a Brooklyn come nella traduzione americana dell’opera, fresca delle scene di Broadway.
In breve, il salotto borghese si tramuta nell’aula di tribunale in cui si mette sotto processo la nostra natura umana, ma anche l’essenza stessa del teatro e del cinema: la finzione domina le nostre vite e seppellisce l’essenza ferina dell’uomo, visione che accomuna il regista polacco e la stessa Reza, e che permette a Polanski di trasformare un’opera che non gli appartiene in un lavoro splendidamente coerente con la sua filmografia.
Sulla stessa lunghezza d’onda con Reza è anche l’estrema ironia e la comicità quasi grottesca che anima l’intera vicenda e pervade i dialoghi magistrali fra i quattro protagonisti. A onor del vero, da Ibsen in poi il teatro contemporaneo è costellato di drammi borghesi, ma è proprio nel già visitato che la penna e la cinepresa autoriale danno prova di saper rinnovare temi che ormai appartengono alla spina dorsale del nostro universo moderno. Entrambi disegnano un ritratto lucido e disincantato con la lucidità della sociologia goffmaniana, che già sessant’anni fa ci spiegava come siamo tutti figuarnti della stessa recita sociale.
Il film sarebbe fallito senza il cast adeguato, ma anche in questo Polanski tradisce la sua anima teatrale, trasformando i quattro superlativi attori (Kate Winslet, Christoph Waltz, Jodie Foster e John C. Reilly) nei veri registi dell’azione in scena, rendendo al contempo l’occhio della macchina da presa impercettibile ma quanto mai presente.
È l’occhio divertito, confuso e raccapricciato di qualsiasi spettatore che si trova imprigionato nella stanza della discordia e che porta il cinema ad arrivare dove il teatro fallisce: la quarta parete è salda, eretta mattone dopo mattone dietro di noi senza lasciare alcuna via di scampo.
Chiunque è intrappolato nella cella dove si dipanano le nostre piccole frustrazioni quotidiane e dalla quale non sarà né una lite sguaiata né una civile discussione a redimerci. Cinema allo stato puro, teatro allo stato puro, come raramente succede.
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Titolo originale: Carnage
Nazione: Francia, Germania, Polonia, Spagna
Anno: 2011
Genere: Commedia
Durata:79′
Regia: Roman Polanski
Sito ufficiale: http://www.sonyclassics.com/carnage/
Cast: Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly
Produzione: SBS Productions, Constantin Films Produktion GmbH, SPI Film Studio, Versatil Cinema S.L., France 2 Cinéma
Distribuzione: Medusa Fillm
Data di uscita: Venezia 2011