Fuori Concorso
Roshan è un aitante giovanotto, nato in India ma cresciuto negli Stati Uniti alla cui nonna viene diagnosticato un cancro terminale. L’anziana signora, da cinque anni in America a casa del figlio e terribilmente nostalgica della terra natia, decide di voler morire nella città natale, Delhi, affinchè le sue ceneri vengano sparse nel fiume sacro.
Roshan, da bravo nipote, si offre di accompagnare la nonna in India per starle vicino negli ultimi momenti e per conoscere meglio la città in cui è nato e la cultura che lo ha toccato solamente in maniera marginale. Il giovane nella Dehli antica, chiamata dai suoi abitanti Dehli – 6 (nome mutuato dal prefisso telefonico della vecchia città), scopre un mondo caotico e affascinante, brulicante di vita e di passioni. A turbare il soggiorno di Roshan ci pensa la Scimmia Nera, un fantomatico animale la voce della cui esistenza viene ingigantita esageratamente dalla stampa e dal popolino. In una escalation di tensione, la presunta bestia spaventosa arriva a incrinare i fino ad allora pacifici rapporti fra hindu e musulmani nel quartiere in cui vivono Roshan e sua nonna. Spinti dalla vera Scimmia Nera, quella che abita il cuore di ogni uomo e che si nutre della sua malvagità, le persone di Delhi – 6, fino al giorno prima affettuose e piene di attenzioni e rispetto nei confronti del prossimo, si impegnano con forza irrazionale e incosciente a cercare un valido capro espiatorio su cui scarirare la propria frustrazione e la propria rabbia ignorante. Tragedia in arrivo.
Bollywood comincia la sua conquista della Mostra del Cinema di Venezia monopolizzando la sezione del Fuori Concorso con ben tre film. Fra questi spicca Delhi – 6, prodotto affine allo spirito produttivo contemporaneo indiano dove a due bei e famosi protagonisti si aggiungono i vivaci colori di una fotografia impeccabile, incredibili scene di massa, e un’orecchiabile e riccamente composita colonna sonora di potenziali singoli da hit parade. Non manca ovviamente l’amore laddove i bei protagonisti sopra menzionati, nello specifico il già citato Roshan e la splendida indigena Bittu, si inseguono per tutto il film contrappuntati da numeri musicali il cui testo, a volte, è più esplicativo dei dialoghi stessi; così come non mancano l’azione e i colpi di scena.
Il regista Mehra, un autore non di primo pelo ma che fino al 2001 ha diretto esclusivamente spot televisivi (passato che tende a farsi notare nell’organizzazione della messa in scena), è intelligente e non lo tiene di certo nascosto. Accanto e oltre a un apparato visivo zuccheroso e ultra pop (senza mai, per la verità, arrivare a saturare la soluzione rendendosi stucchevole), l’autore gioca con lo spettatore (ammiccando, sembrerebbe, proprio a un pubblico occidentale) presentando una Delhi che sembra uscita dalla guida India For Dummies: le idiosincrasie fra caste, le mucche sacre, i matrimoni combinati, il Taj Mahal, le strade affollate di straccioni, gli alberi mocciosamente ricoperti di campane d’oro portafortuna. Ci viene presentata, quindi, attraverso gli occhi del forestiero Roshan, un’India turistica, folkloristica, lontana dalla realtà come uno stereotipo tende a essere lontano dalla verità. La nostra visione cambia mano a mano che si modifica, e matura e diviene più stratificata, quella del nostro protagonista (fino al momento, definitivo, in cui egli abbandona il suo cellulare, simbolo di modernità per eccellenza, con cui fotograva le bellezze e le curiosità della Delhi vecchia), affermando in tal modo una completa identità tra Roshan e lo spettatore non indiano.
Ma se da un lato possiamo notare tutto questo, dall’altro non può sfuggirci il fatto che storicamente il cinema indiano assomiglia molto a quello di Honk Hong, essendo entrambi a carattere prettamente commerciale, e riuscendo entrambi a fondere (nel migliore dei casi) gli intenti imprenditoriali e le necessità autoriali. Per questo motivo Mehra, nel tentativo di dare un colpo alla botte e uno al cerchio, inserisce la sua interessante riflessione sul diverso, sulla percezione che abbiamo di esso e sulle reazione che abbiamo a contatto con esso, in una cornice nazional popolare dai toni forti e ben definiti, che non lascia troppo spazio alle sfumature e affetta abbastanza grossolanamente le caratterizzazioni dei personaggi per renderli immediatamente riconoscibili allo spettatore.
Il risultato è un specie di omaggio/remake più o meno conscio (bisognerebbe chiederlo al regista per avere conferma, ma le coincidenze sono veramente troppe) e molto più edulcorato e all’acqua di rose, insomma maggiormente accessibile, del capolavoro del 1989 di Spike Lee Fa’ la Cosa Giusta; una divertente conferma metacinematografica del discorso di collisione fra culture portato avanti dai due registi.
Delhi-6 di Mehra Rakeysh Omprakash –
India
Durata: 110′
Om Puri, Waheeda Rehman, Abhishek Bachchan, Sonam Kapoor, Rishi Kapoor