Larry Klatz, scrisse sul Boston Herald. “Nel mondo ci sono solo due tipi di persone: quelle che adorano Bruce Springsteen e quelle che non l’hanno mai visto in concerto”. Se questo assioma fosse applicato alla musica italiana si trasformerebbe. “In Italia ci sono solo due tipi di persone: quelle che adorano Elio e le storie tese e poi tutti gli altri”.
Perché più di ogni altro gruppo gli Elio e le storie tese, hanno creato qualcosa di unico e speciale, impossibile da chiudere in schemi, insiemi ed etichette. Un genere, un modo di suonare, uno stile di intendere quell’arte magnifica chiamata Musica, che si ama e si adora. Senza un’altra possibilità. Senza mezze misure.
Perché nessuno ha la loro capacità autoriale e strumentale. L’irriverenza e l’abilità di comporre testi sempre in perfetto equilibrio tra sacro e profano, tra satira e critica sociale, tra umorismo e volgarità. Pochi possono permettersi di spaziare per tutto lo scibile musicale in base alla vena creativa del momento o avere il coraggio di sperimentare nuove forme di interazione con il loro pubblico. Perché nessuno ha un architetto, il buon Mangoni, l’uomo in più, la mascotte del gruppo, che balla dietro al complesso durante i concerti. Riescono a distinguersi sempre nel marasma di musica commerciale che tende a omologare tutto e tutti. Un’impresa riuscita anche con il loro ultimo lavoro, Gattini (edizioni Hukapan). Ovvero come recita il sottotitolo la “selezione orchestrale di classici nostri belli”.
Un album fatto per celebrare vent’anni di onorata e creativa carriera, dove gli Elio e le storie tese suonano le loro canzoni accompagnate dalla filarmonica Toscanini. Dal Cassonetto differenziato per il frutto del peccato fino a Shpalman, passando per La terra dei cachi e John Holmes. Brani più o meno storici che diventano “classici”, si rinnovano e si possono ascoltare in una nuova veste. Che spesso stride con i testi irriverenti, ma che ben si presta alla voglia e alla ricerca di novità mai doma del gruppo. I fan più accaniti potranno lamentare l’assenza in scaletta di alcuni classici quali Tapparella, Servi della gleba o Cara ti amo, ma si potrebbero citare almeno un’altra decina di canzoni che meritavano simili nuovi arrangiamenti. Mancanze che sono parzialmente consolate da questa nuova veste orchestrale che rispolvera, ma non stravolge, alcuni dei brani che hanno contribuito al successo del gruppo e dal nuovo inedito Storia di un bellimbusto, la canzone ritratto degli yuppies milanesi (e non solo) degli anni duemila. Quelli che mettono occhiali scuri griffati alle quattro di mattina, che “pippano” coca, quelli che vanno a zonzo con la faccetta rassicurante a bordo del Porsche. Prova che la creatività degli Elio e le storie tese è ancora viva e vegeta.
Un summa di quanto confezionato in vent’anni di canzoni che hanno raccontato il nostro paese, i nostri vizi, le sue (poche) trasformazioni. Perché in fondo siamo ancora la terra dei cachi, profezia sanremese vecchia di una decina d’anni, ma quanto mai attuale. Gli abusi sessuali (abusivi) e gli appalti truccati, non sono scomparsi. Anzi. E “la tanta voglia di ricominciare” che non siamo riusciti a trovare è ancora un miraggio. O forse è ancora abusiva. Il lato positivo di questo disco, forse sta proprio in questo. Scoprire nuovamente certe canzoni, vecchie di cinque, dieci o passa anni, e accorgersi di quanto siano ancora valide e attuali. E il tempo, che sembra non passare mai. E scoprire il vero plus valore di Rocco, Elio, Faso e Cesareo. In arte gli Elio e le Storie tese, menestrelli e profeti dell’Italia dei cachi.
TRACKLIST:
1. Gattini
2. John Holmes
3. Cassonetto differenziato per il frutto del peccato
4. Nella vecchia azienda agricola
5. Pork e Cindy
6. Il vitello dai piedi di balsa
7. Il vitello dai piedi di balsa reprise
8. Uomini col borsello
9. Essere donna oggi
10. La terra dei cachi
11. Psichedelia
12. Il rock and roll
13. La follia della donna (parte I)
14. Shpalman
15. Largo al factotum
16. Storia di un bell’imbusto
17. Shpalman (romanza da salotto)