Il “Re Lear” di Michele Placido tra tradizione e modernità

Il Teatro Duse di Bologna ha ospitato il cast di Placido dal 18 al 20 gennaio

Da qualunque parte lo si voglia avvicinare, William Shakespeare non è mai un autore semplice da mettere in scena; se non altro perché confrontarsi con un pilastro portante dell’intera letteratura mondiale – così come della storia del teatro dal 1500 in poi – è pur sempre cosa ardua. Per un attore e un regista, una sfida.
Al Duse “Re Lear” di Michele Placido registra ottime presenze in tutte e tre le serate.

A coglierla questa sfida stavolta è Michele Placido, che con Shakespeare praticamente ci è cresciuto. Ricorda lui stesso: “Iniziai la mia carriera proprio come attore nel ruolo del “muro” nel Sogno di una notte di mezza estate”. Da allora, Placido è passato attraverso tutte le opere shakespeariane, da Re Giovanni a La Tempesta, da La bisbetica domata a Macbeth e Otello. Ma in Re Lear c’era qualcosa di più: quella discesa nelle pulsioni e nei lati oscuri dell’essere umano che ben si presta a una reinterpretazione contemporanea.

Così, il Re Lear che Michele Placido propone agli spettatori insieme al co-regista Francesco Manetti è una sperimentazione che prende le distanze dalla raffigurazione classica a cui tanto teatro ci ha abituato; una rielaborazione in cui il sapore della modernità si intreccia alle fila del passato.

Per tracciare le distanze dalla tradizione giocano un ruolo fondamentale innanzitutto i costumi di Daniele Gelsi e poi la scenografia di Carmelo Giammello; a partire da questi due capisaldi della scena, tutto il resto viene lasciato alla libera interpretazione di Placido e Marica Gungui, che hanno curato traduzione e adattamento del testo, e poi ovviamente al tocco di Francesco Manetti, il quale affianca l’attore alla regia.

Sul palco sale un gruppo fornito di professionisti, a coadiuvare un esperimento già di per sé difficile: le sembianze sono quelle di Gigi Angelillo nel ruolo del Conte di Gloucester, Margherita Di Rauso, Federica Vincenti, Francesco Biscione, Giuseppe Bisogno, Giulio Forges Davanzati, Brenno Placido (che segue benissimo le orme paterne), Alessandro Parise, Peppe Bisogno, Giorgio Regali, Riccardo Morgante e Gerardo D’Angelo. Ma se si esclude l’indubbia maestria di (dei) Placido e l’altrettanto valida spalla di Angelillo, chi si fa notare per talento recitativo nel parterre delle più o meno giovani promesse è Francesco Bonomo, nei panni di Edgar. È lui che meglio di chiunque altro dà voce e concretezza scenica a quanto Shakespeare – qui nelle parole di Michele Placido e Francesco Manetti – vuole scandagliare attraverso quest’opera: “Con Re Lear è il mondo intero che va fuor di sesto, la natura scatenata e innocente riprende il suo dominio, riporta gli uomini al loro stato primordiale, nudi e impauriti, in balia di freddo e pioggia a lottare per la propria sopravvivenza, vermi della terra”.

Ma non è tutto qui. Nell’opera di Shakespeare – e quindi, in questo caso, di Placido – c’è anche un confronto tra generazioni: un incontro-scontro in cui niente sembra funzionare come dovrebbe, rendendo il testo incredibilmente attuale a più di quattro secoli di distanza. In questo caso sono invece Placido e Angelillo – rispettivamente Re Lear e il Conte di Gloucester – a rappresentare quella maturità che in qualche modo ha fallito, non essendo riuscita a trovare le chiavi necessarie per aprire le porte dell’amore e del bene.

Il riscatto da quell’odio e da quello sgomento che si portano dietro la fine di un mondo e, in estremo, la scintilla della follia è tutto affidato a Cordelia, la figlia minore di Lear. A interpretarla sul palco Federica Vincenti, che di Placido nella vita reale è niente meno che la moglie e madre di suo figlio. Come a dire che in fondo l’amore trionfa su tutto: anche di fronte al “crollo di tutte le certezze di un’epoca”, anche “di fronte all’imperscrutabilità delle leggi dell’universo” (nota di regia di M. Placido e F. Manetti).

La stagione del Teatro Duse di Bologna continua dal 25 al 27 gennaio con “Un ispettore in casa Birling” e il 29 con “Amarcord”.

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