Una lunghissima, infinita maratona di danza (e non solo), dove a vincere non è il piu bravo, ma chi “dura” fisicamente di più, spingendosi fino alle estreme capacità di resistenza umana e anche oltre, e tutto per poco più di mille dollari o per una millantata scrittura a Hollywood.
Ai tempi della “grande depressione” e negli anni immediatamente successivi, la disperazione poteva cercare anche assurdi sbocchi come questo.
All’origine c’è il romanzo di Horace McCoy, abile sceneggiatore e scrittore che ha vissuto e operato dagli anni ’30 agli anni ’50, famoso specialmente proprio per Non si uccidono così anche i cavalli?. Il racconto è talmente cattivo e pessimista, una metafora dell’America così spiazzante, che il cinema riuscì a occuparsene, fuori da ogni censura, soltanto molti anni dopo l’uscita del libro (1935), e cioè nel 1969, in quel periodo felice del cinema americano nel quale con coraggio si iniziarono a stanare gli scheletri nell’armadio del “Grande Paese”. In questo caso l’artefice fu Sydney Pollack che firmò un autentico capolavoro: crudo, estremo, con interpreti come Jane Fonda o Bruce Dern che disegnarono memorabili figure disperate.
Probabilmente l’ idea che ha stimolato questo progetto di riduzione teatrale diretto da Gigi Dall’Aglio parte da due considerazioni: da un lato un parallelo, a dir il vero un po’ forzato, tra la crudele gara d’epoca e l’attuale macchina dei talent-reality show; dall’altro, un aspetto più convincente legato al periodo storico, ossia la crisi economica attuale, altrettanto disperata e disperante, scenario giusto per comprendere l’ultima spiaggia di una generazione priva di opportunità.
Lo spettacolo si svolge sul palcoscenico del teatro Argentina, occupato non solo nello spazio tradizionale ma esteso oltre il proscenio, fino a buona parte della platea in modo da consentire di ottenere lo spazio per la pista da ballo e di conglobare anche parte del pubblico nel progetto scenografico, collocando anche tra le poltrone qualche attore e sul palco alcuni spettatori; appesi ai palchetti invece campeggiano striscioni relativi alla folle competizione. L’impressione, felice, è quindi quella di far parte dello spettacolo totale con buon effetto di coinvolgimento. La messinscena è efficace, precisa, perfetta ed espressiva nella coreografie, nelle scene corali e nelle controscene, nei movimenti degli attori, dei ballerini e dei musicisti.
Ci sono momenti molto buoni, basti citare le scene d’atmosfera sottolineate dalle musiche d’epoca (da Stormy weather o My fanny Valentine), la “corsa” al rallenty o la breve scena, un po’ grottesca e un po’ surreale, della presunta “attrice che ce l’ha fatta “, una “ apparizione “ tra il grottesco e il surreale.
Lo spettacolo è una riuscita sintesi delle componenti del romanzo ma fatalmente più orientato sugli aspetti spettacolari piuttosto che su quelli più drammatici. Resta quindi un po’ il rimpianto di qualche momento cupo e toccante, di un’attenzione maggiore verso quelle figure miserrime, tutte vittime (sia i concorrenti, sia gli organizzatori), che avrebbe dato qualche brivido in più e preparato più coerentemente il tragico finale.
dall’omonimo romanzo di Horace McCoy
_ nella messinscena di Gigi dall’Aglio
_ con l’Ensemble Attori Teatro Due e gli attori-danzatori di Balletto Civile
_ traduzione e adattamento Giorgio Mariuzzo
con Roberto Abbati, Alessandro Averone, Maurizio Camilli, Andrea Capaldi, Cristina Cattellani, Ambra Chiarello, Laura Cleri, Andrea Coppone, Paola De Crescenzo, Massimiliano Frascà, Francesco Gabrielli, Filippo Gessi, Luchino Giordana, Francesca Lombardo, Michela Lucenti, Luca Nucera, Massimiliano Sbarsi, Emanuela Serra, Giulia Spattini, Chiara Taviani, Nanni Tormen, Marcello Vazzoler, Chantal Viola
_ adattamento musicale / pianoforte Gianluca Pezzino
_ clarinetto / sax Paolo Panigari
_ contrabbasso Francesca Li Causi
_ batteria Gabriele Anversa
_ voce Carlo Massari