Una burletta da laboratorio
Dopo L’inganno felice di Gioacchino Rossini presentato a Carnevale, la Fenice mette in scena la quarta farsa del compositore pesarese scritta nel 1812 per il Teatro di San Moisè a Venezia. Queste opere in atto singolo si dimostrano ideali come banco di prova per i giovani dell’Accademia e del Conservatorio, gli uni impegnati nella realizzazione di costumi e scenografie, gli altri invece nell’inserimento orchestrale, nonché per un cast di trentenni. Guidati da professionisti del calibro di Elisabetta Brusa alla regia e Stefano Rabaglia in conduzione, l’Atelier Malibran si rivela così un laboratorio eccellente per formare le giovani leve dei nostri teatri e i primi risultati sono davvero confortanti per il futuro della lirica italiana.
La farsa in un mondo di carta
Contorta al punto giusto, la trama di questa farsa rossiniana pesca a piene mani dagli stilemi della commedia goldoniana. Fra molteplici travestimenti ed equivoci incrociati, la storia prende le mosse dal casuale scambio di valigie tra il facoltoso Conte Alberto e lo spiantato Don Parmenione in una notte tempestosa alle porte di Napoli. La ghiotta occasione suggerisce a Parmenione di sostituirsi al conte per godere delle sue ricchezze e, soprattutto, prenderne la promessa sposa che lo attende in città. Ma la giovane Berenice è una donna di carattere e si scambia a sua volta con Ernestina per poter studiare il pretendente prima di rivelarsi. La storia è ricca di spunti comici, ben sottolineati dalla recitazione pantomimica dei cantanti e dalla presenza di sei mimi di supporto. Il mondo in cui si muovono i protagonisti è avvolto nella carta quale estrinsecazione di un passato romantico quanto lontano: di carta sono le lettere fra i promessi sposi e quella di Rossini alla madre, ma lo sono anche le cambiali, i passaporti, gli spartiti, perfino gli abiti e le parrucche. Attraverso la carta Elisabetta Brusa trova un modo originale di celebrare la grandiosa tradizione editoriale e musicale di Venezia.
Un cast giovane e affiatato diverte e appassiona il pubblico
Oltre che per i ladri, l’occasione di questa breve farsa si rivela eccellente anche per sperimentare un cast giovane e in parte al proprio debutto. Infatti, la partitura trae a piene mani dalla tradizione classicista (i recitativi e molte cadenze sembrano copiate dalle Nozze di Figaro), mentre i concitati sono già squisitamente rossiniani con agilità repentine su un libretto da scioglilingua. La scelta dei due protagonisti sembra particolarmente azzeccata: sia il basso Omar Montanari nella parte di Parmenione che la soprano Irina Dubrovskaya come Berenice dimostrano pienezza vocale, grande pulizia e profondità interpretativa, guadagnando calorosi applausi a scena aperta. Solida anche la preparazione di Enrico Iviglia nel ruolo dello zio Don Eusebio e di Paola Gardina come Ernestina. Precisi ma meno puliti Giorgio Misseri come Conte e Giovanni Romeo nei panni del servitore Martino, talvolta addirittura coperti dall’orchestra. L’ottimo Maestro Rabaglia conduce lineare e spedito l’orchestra riuscendo ad accompagnare sempre per mano i giovani cantanti.
direttore: Stefano Rabaglia
_ regia: Elisabetta Brusa
_ Don Eusebio: Enrico Iviglia
_ Berenice: Irina Dubrovskaya
_ Conte Alberto: Giorgio Misseri
_ Don Parmenione: Omar Montanari
_ Ernestina: Paola Gardina
_ Martino: Giovanni Romeo