Philadelphia, trent’anni dopo. La città sta cambiando, quella che una volta era periferia, malfamata forse, ma popolata e vitale, ora è un cumulo di edifici fatiscenti e strade semideserte. Come tutto il resto, anche Rocky Balboa, due volte campione mondiale dei pesi massimi, adesso è parte del disfacimento del luogo in cui è sempre vissuto, come un rudere cadente e pateticamente ancorato al passato. Adriana non c’è più, se l’è portata via un tumore di “quelli delle donne”; e con lei se n’è andata l’unica fonte di felicità, oltre alla competizione sul ring – che se ne era già andata da un pezzo – per l’ormai ex stallone italiano. Ma niente può impedire a un uomo, se si è guadagnato il diritto di farlo, di cimentarsi in quello che gli riesce meglio, di sparare le sue ultime cartucce per provare a se stesso di essere ancora vivo, di soffrire per poter rinascere, di cadere per rialzarsi. Un ultimo incontro, contro il campione in carica, per non cedere all’inerzia della vita, per non indulgere ai rimpianti e lasciar andare il passato.
Stallone torna dietro la macchina da presa (e alla sceneggiatura) per realizzare il sesto capitolo della fortunatissima saga sul pugile italoamericano venuto dal nulla. Un ritorno rischioso, dopo l’andamento catastroficamente al ribasso degli episodi successivi allo storico esordio del 1976, e forse di cui nessuno sembrava sentire l’esigenza. Ma l’eroe di ferro anni Ottanta, invincibile e muscoloso, da Rambo a Cobra, è riuscito a giocare sapientemente le carte del suo ritorno in scena – in una carriera inesorabilmente in declino – e a costruire un film in grado di galleggiare tra la rimembranza nostalgica e la leggerezza di un nuovo inizio, con un occhio di riguardo alla “leggenda” ormai entrata a far parte dell’immaginario collettivo.
Rocky Balboa è un ritorno alle origini, è l’essenza del personaggio outsider creato da Stallone filtrato dall’esperienza, dalla disillusione e dalla voglia di ricominciare. Un uomo semplice, che ha conosciuto il successo, che l’ha attraversato senza perdere i suoi punti di riferimento, che l’ha sorpassato, negli anni e nel conto in banca, e che ha bisogno di rimettersi in discussione. Una favola morale fino a un certo punto, ma che nasce dal patetismo di una figura ormai intaccata dai ricordi, che annoia i clienti del suo ristorante (Adrian’s, of course) con aneddoti d’altri tempi e storielle a richiesta da fenomeno da baraccone. Rocky, ormai vecchio, bolso, appesantito e malinconico è l’emblema della consapevolezza del tempo trascorso, ma allo stesso tempo dell’irriducibile volontà di darsi un’altra chance.
Dopo gli exploit nazionalistici dei pantaloncini a stelle e strisce, gli incontri con i campioni ricchi e presuntuosi, le battaglie con gli “animali” da ring, le guerre fredde da “spiezzarti in due” e le fiducie riposte nelle nuove generazioni, Rocky torna sul quadrato e sul grande schermo per congedarsi onorevolmente, e mettersi in pace la cosienza; lo fa senza presunzione e dignitosamente, senza eccedere in magnificazioni e spettacolarizzazioni – pur all’interno di una classica e convenzionale produzione hollywoodiana –, concedendosi più semplicemente la licenza di omaggiare quel mito che ormai è un’icona non solo cinematografica.
Titolo originale: Rocky Balboa
Nazione: U.S.A.
Anno: 2006
Genere: Azione, Drammatico
Durata: 105′
Regia: Sylvester Stallone
Sito ufficiale: www.rockythemovie.com
Cast: Sylvester Stallone, Burt Young, Milo Ventimiglia, Geraldine Hughes, Antonio Tarver, James Francis Kelly III, Tony Burton, Talia Shire
Produzione: Metro-Goldwyn-Mayer (MGM), Rogue Marble, Columbia Pictures Corporation, Revolution Studios, Chartoff-Winkler Productions, United Artists
Distribuzione: 20th Century Fox
Data di uscita: 12 Gennaio 2007 (cinema)