Venezia 70. Concorso
Siamo nel cuore della profonda provincia tedesca. Lui è un giovane poliziotto dall’aria normale, lei è una moglie affettuosa, insieme hanno una tenera bambina bionda che accudiscono con amore in una casetta qualsiasi di una cittadina qualsiasi. Ok, quando salta fuori il machete, direte voi, ed è quello che pensiamo anche noi alla terza inquadratura.
Dopo 80 minuti (ottanta) siamo ancora nella provincia tedesca, la moglie affettuosa, la bambina bionda, la casetta normale e abbiamo gustato la monotonia della quotidianità da innumerevoli prospettive. È “l’incessante lavoro dell’amore dal quale emerge ciò che viene poi definito l’anima di un individuo”, spiega sibillinamente Gröning chiedendoci di pazientare.
All’ottantunesimo minuto, il primo schiaffo ci informa che una bestia si agita dentro di lui e lei ne è preda prediletta. I grandi silenzi, di cui Gröning è abile narratore (suo il pluripremiato documentario sulla Grande Chartreuse), spesso generano mostri all’esterno di remoti ricoveri religiosi. All work and no play makes Jack a dull boy.
Dopo circa 120 minuti (centoventi), è evidente che siamo di fronte ad un dramma di violenza domestica, la storia di una donna che soccombe agli abusi del marito fino ad annientarsi. Per arrivare a questa consapevolezza abbiamo ormai attraversato buona parte dei 59 capitoli (cinquantanove) in cui è divisa la pellicola, di cui svariati lasciavano presagire un documentario sulla fauna suburbana. Ma gli animali sono un simbolo dell’infanzia, ci spiega Gröning, quindi resistiamo anche a molti altri intermezzi di volpi, cerbiatti e vermi da giardino.
Capitolo dopo capitolo, il sadismo coniugale si rispecchia nel sadismo della narrazione. Il ritmo deve estenuare, picchiare lo spettatore fino a portarlo alla totale identificazione con la protagonista, prigioniera di una routine distruttiva. Come in una lenta presentazione PowerPoint di tre ore, camera fissa dopo camera fissa l’effetto è quello richiesto. Ok, passiamo alla prossima slide?
La neanche troppo fine roulette russa narrativa (sarà questa la scena clou? Ah no, altro falso allarme) istiga il pubblico contro il regista più che dalla parte della vittima, sfiancato da 174 minuti (centosettantaquattro) di due o tre ottime scene disperse fra digressioni animali, metafore sottili (moglie maltrattata, stacco su una Barbie) e imperscrutabili enigmi visivi.
Al centosettantacinquesimo minuto, quando lo schermo si oscura nuovamente e fortunatamente per l’ultima volta, rimane un film che rivela troppo apertamente le sue intenzioni senza concretizzarle. La segnaletica di “Ora vi colpirò dritto al bassoventre” scintilla al neon e lo spettatore, diventato complice consapevole di una maratona autoriale al massacro, schiva il fendente prima di riceverlo. Mentre il corpo della moglie si ricopre di lividi sempre più visibili ad ogni inquadratura, chi lascia la sala rischia invece di restare illeso e uscire così, senza neanche un pizzicotto.
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Titolo originale: De Frau des Polizisten
Nazione: Germania
Anno: 2013
Genere: Drammatico
Durata: 175′
Regia: Philip Gröning
Cast: Alexandra Fider, David Zimmerschied, Pia & Chiara Kleemann, Horst Rehberg, Katharina Susewind, Lars Rudolph
Produzione: Philip Gröning Filmproduktion, Bavaria Pictures, 3L Filmproduktion, Bayerischer Rundfunk
Distribuzione: The Match Factory
Data di uscita: Venezia 2013