Vincenzo, un uomo di circa cinquant’anni di origini francesi, e la giovane Maria sono una coppia che procrea per denaro. Non sappiamo quanti bambini abbiano avuto e poi venduto – tre? quattro? -. Si conosce poco delle loro vite. Vivono a Roma, si sono incontrati sulla piaggia, lui aveva uno sguardo dolce – sostiene lei a un certo punto – e di certo Maria non arrivava da una dimensione famigliare semplice.

Vincenzo è un uomo violento, imperturbabile nel suo commercio di neonati; Maria potrebbe essere libera di andare via – “la porta è sempre stata aperta” le dice lui -, ma ha accettato questa vita benché non veda un soldo, quando ne ha bisogno deve chiedere a lui. Quello che lei vorrebbe è essere finalmente in tre o non dover portare avanti altre gravidanze. Eppure resta.

Sebastiano Riso torna a dirigere Micaela Ramazzotti dopo Più buio di mezzanotte (presentando nel 2014 la Semaine de la Critique del Festival di Cannes). Una Famiglia pretende di raccontare il dramma delle adozioni illegali in Italia, mettendo al centro una coppia che vende i suoi bambini al mercato nero. Tutto il film si concentra su Vincenzo e Maria, sul loro rapporto sbilanciato, malato, criminale. Gli sceneggiatori, Andrea Cerola, Stefano e Grasso e il regista, hanno ascoltato diverse intercettazioni telefoniche, con la collaborazione delle Forze dell’Ordine, per capire cosa possa spingere una famiglia a comprare un bambino e un’altra a venderlo. Ma di quelle storie qui non c’è traccia. Qui ci troviamo di fronte a un rapporto tra libera prigioniera e crudele carceriere; le altre famiglie si intravedono, a parte la caratterizzazione più decisa – rispetto agli accenni sulle altre – di una coppia omosessuale.

E’ un film irritante perché pretende di essere ciò che non è. E’ un film furbo perché tratta una questione delicata senza porre domande – esiste veramente un diritto alla maternità? per esempio- e senza affrontarla a viso scoperto. E’ un film ricattatorio perché esige empatia nei confronti di Maria attraverso la violenza sconsiderata di Vicenzo. E’ un film superficiale perché manca totalmente di coraggio nel parlare approfonditamente di maternità, da una parte e dall’altra. E’ un film incongruente come i suoi personaggi che non sanno dove andare o cosa fare.