“Indivisibili” di Edoardo De Angelis

Finché morte non ci separi

Presentato nella sezione autonoma Giornate degli Autori, Indivisibili è il terzo lungometraggio del regista napoletano Edoardo De Angelis, un racconto di formazione ambientato nell’hinterland di Castel Volturno in cui una rara forma di handicap funge da punto di partenza per narrare la conquista della maturità e dell’indipendenza da parte di due sorelle letteralmente inseparabili.

Dasy e Viola –Angela e Marianna Fontana– sono gemelle siamesi unite per la zona pelvica con la passione per il canto: il loro duo, Le Indivisibili, si esibisce in occasione di feste private per volere del padre. A una comunione le gemelle attirano l’attenzione di Ferreri, produttore discografico che si dice pronto a lanciarle nello showbiz; successivamente, un medico le nota e si offre di separarle chirurgicamente. Entrambe le proposte incontrano il diniego del genitore, il quale teme di perdere una grossa fetta dei suoi affari, ma Dasy non si rassegna e dà inizio a una crociata personale entrando in conflitto con la famiglia e la sorella, che invece preferirebbe restarle unita.

Alla fine Viola si rende conto della necessità dell’intervento e entrambe raggiungono Ferreri a bordo del suo yacht nella speranza di ottenere i soldi per l’operazione, ma egli vorrebbe prima abusare di loro. Dopo la fuga a nuoto, le gemelle saranno costrette a recitare in una macabra processione religiosa, durante la quale una delle due, umiliata, tenterà un gesto estremo.

Mostrando un occhio attentissimo alla realtà sociale della periferia campana, il dramma messo in scena da De Angelis è popolato di emarginati di ogni sorta, dagli immigrati alle prostitute. In questo inferno, Dasy e Viola sembrano essersi ritagliate un angolo di paradiso, non tanto sotto il profilo economico quanto sotto quello affettivo: vi è una certezza fisica, corporea di poter contare l’una sull’altra che corrobora il loro rapporto. Nonostante ciò, tale rapporto diviene sempre meno paritario, e la lacerazione, ancor prima di avvenire col bisturi, si verifica nel momento in cui se ne prospetta la concreta possibilità: in tal senso, possiamo considerare Dasy e Viola come un personaggio bifronte che è incarnazione materiale del conflitto tragico, con un volto e un nome per ciascun estremo dell’animo umano.

Sulle prime, saremmo portati a considerare Dasy la più matura poiché si rende conto dei soprusi del padre e del bisogno pratico di condurre una vita separata, ma per quanto –anche a livello attoriale- si imponga sulla sorella è Viola a capire che diventare come gli altri significa imboccare il medesimo cammino verso la perdizione: non a caso sarà lei a condurre Dasy fuori dal freak show erotico sullo yacht.

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Il carattere grottesco che percorre tutta la pellicola non si limita però al profano e ingloba anche il sacro: il culto amministrato dall’ambiguo don Salvatore è un coacervo di superstizioni, che contempla feticci e taumaturgia, da cui si evince la critica alla religiosità meridionale.

Nonostante questo aspetto, la pellicola non sacrifica alcuna componente: la prestazione degli attori, prevalentemente in dialetto locale, è magistrale –segnaliamo anche Massimiliano Rossi nel ruolo del padre– , mentre la regia approfitta di ogni angolazione offerta dal contesto urbano, con un registro variegato che mostra una predilezione per il piano sequenza e il primissimo piano. A questo punto, viene da chiedersi se la sezione Giornate degli Autori non sia persino un po’ riduttiva per un’opera di questo calibro.