In concorso Orizzonti arriva l’ennesima testimonianza dal Medio Oriente per questa 74° Mostra del Cinema di Venezia, questa volta parliamo dell’Algeria, con Les bienheureux, esordio alla regia di un lungometraggio per Sofia Djama.

In una notte ad Alger si incrociano due vicende sullo sfondo di un paese devastato culturalemente che non si è ancora ripreso dalla guerra civile. Da un lato Amal e Samir festeggiano il loro ventesimo anniversario di matrimonio fuori casa, inevitabilmente scontrandosi sul futuro, dall’altro Fahim, loro figlio, e il suo gruppo di amici, sono alla disperata ricerca di un qualsiasi punto di riferimento.

Era Bouteflika, il tempo della cosiddetta “riconciliazione civile”, quando le amnistie per i vecchi criminali per la difficoltà che ne comporterebbe la gestione giudiziaria e gli attentati dinamitardi ordinati dallo Stato nel nome della sicurezza nazionale sono all’ordine del giorno. Su questo sfondo, quello di una democrazia nata male e finita peggio, si incontrano/scontrano due generazioni. La prima, quella dei padri e della madri è immersa in un mare melmoso di disillusione; ricordano magari con affetto i loro giorni durante il regime, che ardevano di protesta e di giustizia, e guardano con preoccupazione ai loro figli, avulsi dal sistema e incapaci dunque di comprenderlo, al punto da ricercare rifugio identitario nella tradizione religiosa (fino a quando fa comodo, con un islam d’accatto e reattivo) che i loro genitori avevano abbandonato pochi anni prima rifiutandola in quanto strumento di controllo del vecchio establishment.

Fahim e i suoi amici, cioè sua cugina, che non ha superato la morte della madre durante il regime e un amico di lei, arrogante e bambinesco nel ribadire costantemente le suae spicciole analisi sociologico-religiose, non hanno niente da fare se non trovarsi per perdere tempi in attesa che qualcuno cali loro dall’altro un risposta, del tutto incapaci di decidere essendo sprovvisti dei mezzi culturali per comprendere la situazione. In breve, Djama ci racconta che i giovani sono ancora più persi dei loro genitori, non avendo nemmeno voglia di cambiamento. I genitori, invece, sono combattutti tra un filo di speranza sostenuto a oltranza, consci del fatto che il cinismo non risolve nulla, e tra la disillusione borghese di chi vuole solo andarsene: Samir rientra nella prima categoria, deciso a quantomeno provare a restare in Algeria, poichè ha la voglia di fare qualcosa per cambiare ma non ne ha le capacità intellettuali, facendone una questione personale d’orgoglio e non del paese tutto, al contrario invece di sua moglie Amal, che vuole a tutti i costi mandare il figlio all’estero per permettergli di ricostruirsi una vita, e non prova nemmeno a rapportarsi alla situazione algerian moderna, la schifa.

Les bienheureux è quindi un film in cui tutti sbagliano, nessuno escluso, capace di raccontare la completa perdizione di un paese dopo una guerra civile proprio a livello d’identificazione in due generazioni, quella che ha vissuto il terrore e quella che ne è figlia. Interessante ritratto di un paese che è nell’ora più buia della sua storia, come ci ricorda la metafisica e lunghissima nottata senza stelle che avvolge il solido esordio di Sofia Djama.

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