Prosegue il Concorso Internazionale del Locarno Festival 2017, e il secondo film della giornata è il documentario Mrs. Fang, di Wang Bing.

La signora Fang è un’anziana contadina affetta da Alzheimer da ormai otto anni. Non rispondendo più alle cure, è stata riportata a casa durante il decorso finale della malattia. Il film segue gli ultimi giorni di vita della donna nella casa familiare, e più in generale la quotidianità dei parenti che la circondano.

Il film, trattandosi di Wang Bing, si configura subito come un unicum, conoscendo gli stilemi tipici del regista. Perché non solo ci troviamo di fronte a un’opera piuttosto breve (86′, appena la metà degli standard del cinese), ma tale da non avere riscontri nei soggetti dei suoi precedenti documentari. Quest’ultimi erano di carattere intrinsecamente sociale-economico, mentre sembra che con Mrs. Fang si sia lasciato andare all’indagine di una sfera strettamente personale e intimistica, il che é vero solo in parte. L’opera si concentra su un tema che trascende l’oggettività della narrazione come quello della morte e della perdita, ed è quindi impossibile separare l’evento in sé da chi lo vive, ma é impossibile non vedere in un racconto del genere l’esempio di una crescente mancanza di un qualcosa a livello sociale, culturale.

La narrazione dei dieci giorni è, come da evoluzione di Bing, estremamente schietta, ripercorrendo senza fronzoli l’ora e mezza più importante in questa via crucis. Il punto focale é chiaramente la disumanizzazione della morente e la totale indifferenza nei sui confronti. Se da un lato Bing insiste per parecchi minuti con la camera fissa sui rantoli della signora Fang, sui movimenti dei suoi occhi, dall’altro non si fa scrupoli nemmeno a seguire passo dopo passo la giornata dello stuolo di parenti che in quella casa vive: li segue mentre pescano, o si ritrovano la sera assieme in casa, o parlano al bar e quello che ne emerge è sì indifferenza, ma nel senso che non sanno materialmente come comportarsi a riguardo: non si conoscono. Non sanno comunicare tra di loro e soprattutto non sanno farlo a loro stessi, perché si trovano in palese difficoltà nell’atto stesso del parlare, e pertanto blaterano a vanvera. Non si contano i minuti in cui la famiglia ha fatto passare un lasso di tempo sufficiente davanti al letto dove riposava la matriarca per allontanare il senso di colpa ingannando il tempo parlando di futilità con malcelato imbarazzo. Parlano infatti di quanto la vecchia s’è spostata, girando su se stessa per esempio, con lo stesso tono di come si parla di un animale domestico.

In conclusione, Mrs. Fang ha il merito di portare su schermo la mancanza di educazione al sentimento secondo il sentire del suo autore che ha firmato un’opera semplice nella forma quanto intensa e difficile nella realizzazione effettiva, dato il carattere estremamente astratto della riflessione. Dopo il mezzo-fiasco di Bitter money Bing riesce a riformulare senza abbandonarlo il nuovo schema più intimistico e facendo un altro (e questa volta più significativo) passo dall’estetica verso uno stile più giornalistico, e conferma così una scelta consapevole più che una sbandata di percorso. Ora, chi scrive non è certo in grado di prevedere che strada prenderà la filmografia di Wang Bing e quanto intensa sarà questa svolta, però non se la sente affatto di dare il documentarista cinese per dimenticabile dopo l’allontanamento da film come Tie Xi Qu o Fang ai perchè, di fatto, pur retrocedendo, per il momento, in qualità effettiva, ha compiuto un ulteriore passo in avanti sotto un certo punto di vista, passando a un cinema che va interpretato, sondato, in cui va colta l’astrazione attraverso l’esempio: comprendere un universale attraverso il particolare, un paradosso dal punto di vista logico.

Che sia un modo non completamente onesto intellettualmente di affrontare il documentario o il cinema in generale è fuor di questione, che non possa portare a risultati enormi all’arte cinematografica invece è tutt’altro discorso.