Presentato alla 70esima del Festival di Locarno in concorso nella sezione Cineasti del presente, l’opera seconda di Cabeleira si configura come un film senza troppe pretese ma non per questo semplicistico.

Un’estate qualsiasi a Lisbona, 2017. Un gruppo di ragazzi trascorre le proprie giornate tra erba, festini, calcetto e la reciproca compagnia. Una gioventù che occupa oziosamente i pomeriggi afosi come può è la protagonista di Verão danado.

La generazione nata negli anni’80 è l’indiscussa protagonista di questo film. Cabeleira dipinge una gioventù allo sbando, senza appigli, senza velleità od obiettivi. È un affresco di quei “quasi-trentenni” che non hanno possibilità e non ne cercano, preferendo estraniarsi dal mondo in cui si trovano con tutti i mezzi che hanno a disposizione e abbattendo un tabù dopo l’altro, solo per il gusto di vedere cosa viene dopo, se il nulla assoluto (di cui di fatto sono già prede) o un’altra vana speranza. L’opera non brilla certo per la composizione del ritratto, un po’ raffazzonato e certo non originale, ma per la sua messa in scena. I 128’ non erano indispensabili, ma passano in fretta, data anche la natura episodica della narrazione: piccoli stralci di vita quotidiana che ci ricordano che una parte della popolazione non ha alcuno sbocco né lavorativo né personale nel contesto sociale che la ospita.

Cabeleira però gestisce molto bene la scarsa sostanza di cui è in possesso per il suo film; a fronte di una pochezza elementare nella sceneggiatura il giovanissimo (classe 1992) regista portoghese rimedia con una regia quasi perfetta per l’occasione, dimostrando invece un notevole senso estetico. Sempre il piano-sequenza a camera fissa è ancora la modalità prediletta, ma Cabeleira li allunga allo spasmo, dirigendo gli attori con un’enorme carica di sincerità e conferendo agli sprazzi che va a immortalare una propria autonomia. Gioca con le luci stroboscopiche, girando scene sequenze anche di mezz’ora all’interno della stessa stanza di discoteca e abbagliando lo spettatore, che si ritrova in un frangente a cercare di distinguere un volto e l’attimo dopo è folgorato da giochi di colore con luce al neon.

In sostanza, la carne al fuoco in Verão danado è poca, ma abbonda il fumo. In tutti e due i sensi, infatti, Cabeleira in primis getta fumo negli occhi dello spettatore, distogliendolo dal poco che c’è da vedere nell’opera con l’aspetto formale, e successivamente ne fa uno degli elementi centrali di ogni episodio. La marijuana è per questi ragazzi senza mete uno sorta di rigurgito sessantottino, che genera i siparietti più divertenti e vivi di tutto il film; lievemente alterati ed eccessivamente rilassati, ecco che allora riescono ad affrontare le giornate, allontanando la noia sempre in agguato e che verrebbe a coincidere con la morte.