Come successe l’anno scorso proprio qui a Venezia con The young Pope, quest’anno a Cannes con Twin Peaks, anche la 74° edizione del festival lagunare non si fa mancare la presentazione di una serie televisiva, di cui, come ormai da programma, verranno proiettati in anteprima i primi due episodi. Sulla scia del successo di Suburra, diretto da Stefano Sollima, è partito un nuovo progetto di serializzazione per il film, analogo a quello di Romanzo criminale (anch’esso un libro di De Cataldo) che questa volta vedrà la distribuzione in mano a Netflix.
Nella Roma di qualche anno prende corpo un pericoloso patto fra Chiesa, Stato e mafia per un affare edilizio da centinaia di milioni di euro. Lele, studente che arrotonda organizzando festini e spacciando, Spadino, figlio di un boss zingaro locale e Aureliano, sottoposto dell’uomo più potente dela città, si ritrovano coinvolti nella faccenda per vie traverse, e ora devono confrontarsi con qualcosa molto più grande di loro.
Nella Roma decadente in cui di lì a poco scoppierà lo scandalo di Mafia Capitale, i tre poteri più forti de facto si coalizzano per creare un nuovo viadotto per il commercio di cocaina, che metterà d’accordo la malavita locale con una delle più poitenti famiglie della Camorra con il beneplacito della politica e delle cerchie più influenti della Chiesa, una circostanza fortuita lega i tre protagonisti in una serie come la si aspettava da una collaborazione italiana con Netflix. Le ambizioni sono tante per questo reboot televisivo di Suburra, ma la qualità non manca.
La regia di Michele Placido è ben equilibrata, fredda e quadrata con la capacità di giocare con le profondità di campo e le carrellate quando serve, senza però (cosa non facile) lasciarsi andare a quei virtuosismi che tanto piacciono agli aficionados della piattaforma streaming. Anzi il primo merito del regista è quello di non abbandonare quella tradizione filmica sulla malavita italiana iniziata con Rosi, proseguita con il primo Tornatore e rifiorita con Romanzo criminale pur di fare un prodotto di più ampio respiro, dal punto di vista dell’audience, quantomeno.
Si parla sempre dei primi due episodi, e quindi non è possibile bilanciarsi troppo, mancando ancora gli altri otto, però sono palesi fin sa subito i meriti della serie. Abbiamo una storia ritmata e concreta che punta a ripetere il fenomeno delle ultime nuove serie all’italiana e non a creare un nuovo prodotto ibrido proponibile senza problemi sul piano internazionale (che è già qualcosa), e che, sfruttando un budget ingente, riesce a farsi valere benissimo sulle colleghe d’oltreoceano senza sconfinare sul territorio di queste. Inoltre si deve ricordare che si parla di TV, e che il grosso, qualitativamente parlando, è dato dalla parte strettamente narrativa, e per ora l’intreccio promette bene.
Tuttavia certo non si può dire che per ora non abbia rivelato difetti, perchè nonostante tutto ancora appare palese che non ci si riesce a scollare da tutta una serie di elementi estremamente fan-service; fan che dovrebbero appunto capire che non è necessario urlare al capolavoro ogni volta che vedono una scena di un’orgia illuminata con luci al neon, per esempio. Senza contare inoltre che il livello recitativo s’è depresso parecchio, visto che il confronto con il film è inevitabile: Giacomo Ferrara, Fabrizio Betelli e Claudia Gerini non valgono minimanente i vecchi Amendola, Favino e Germano (con l’eccezione di Alessandro Borghi, che riprende il suo ruolo dell’iconico Numero 8 e dà vita a un personaggio più sfaccettato, calcato, in soldoniu, televisivo).
In conclusione, Suburra – La serie è un prodotto con tante speranze e qualità ma almeno altrettanti difetti da limare in futuro e di cui, soprattutto, non si sentiva affatto il bisogno, ma che sfruttando bene la collaborazione con Netflix, potrebbe dare nuova linfa al panorama televisivo italiano, sempre ammesso e non concesso di riuscire anche a innovare la tradizione, oltre che seguirla.