Beirut, oggi: una lite per una grondaia porta Yasser, profugo palestinese, a insultare Toni, un libanese cristiano, che lo denuncia e lo porta in tribunale. Il loro caso viene ripreso dai media e diventa il simbolo delle tensioni ancora esistenti nel paese, finendo per diventare una questione di stato che rischia di causare una nuova guerra civile.
Il Libano è un paese caratterizzato da profonde divisioni tra diverse etnie e religioni, bilanciate da un delicato quanto fragile accordo informale conosciuto come Patto Nazionale. Negli anni è stato teatro di numerose guerre civili che hanno esacerbato le tensioni tra i suoi abitanti.
Ziad Doueiri porta queste tensioni e diffidenze sul piano privato, raccontando il conflitto tra Toni e Yasser. Quello che all’inizio sembra solo un racconto metaforico della storia del paese si trasforma ben presto in un’analisi del ruolo ricoperto dai media in questa tensione: quando il caso di Toni e Yasser diviene pubblico, infatti, la metafora cade e diviene esplicito paragone; la causa viene ingigantita, spersonalizzata ed estremizzata, al punto che persino in tribunale non si parla più del caso in questione, ma si scontrano due opposti fanatismi, ben incarnati dai protagonisti ma soprattutto dai loro due avvocati, che finiscono per diventare più coinvolti dei loro clienti.
Sono fanatismi, questi, che chiunque in qualunque parte del mondo può riconoscere: da una parte il nazionalismo esasperato, il “prima i Libanesi” che suonerà tristemente familiare a molti, troppi; dall’altro un’attenzione ai diritti dei più deboli talmente esasperato da divenire fastidioso vittimismo, con un’avvocatessa talmente irritante nel suo totale distacco dalla realtà che ad ascoltarla si è seriamente tentati di dare ragione alla fazione opposta.
Doueiri affronta il tema degli opposti estremismi in modo interessante ma troppo didascalico, con alcuni momenti inutilmente esplicativi, quasi che non si fidasse della capacità dello spettatore di capire sottotesti e contenuti. Il risultato è un film che, pur mantenendo vivo l’interesse, non convince appieno a causa di un ritmo troppo lento e della scarsa originalità. Le dinamiche processuali non vengono sfruttate appieno, e l’aula del tribunale diviene solo il pretesto per una serie di monologhi esplicativi che danneggiano la tensione emotiva che la storia sembrava essere in grado di creare, grazie anche alle ottime interpretazioni dei protagonisti.
The Insult è dunque un film poco incisivo, quasi superficiale, che getta al vento alcune interessanti premesse per perdersi in un mare di parole da cui non riesce quasi mai a risollevarsi.