Manca ormai pochissimo alla conclusione di questa terza stagione, che avverrà il 3 settembre con il canonico doppio episodio finale, e, sulla scia dello scorsa nonché grandiosa puntata, Lynch e Frost non accennano a rallentare, anzi.
Il punto della situazione
BOB-in-Cooper decide di incontrare Phillip Jeffries in un luogo di transizione per chiarire la questione dell’attentato ai suoi danni e non solo, raccogliendo poi Richard Horne sulla strada del ritorno, mentre al Bing Bang Bar si scatena una rissa che finisce per far arrestare James Hurley e Freddie Sykes. Nel frattanto invece il sottobosco delle storyline secondarie fiorisce in modo uniforme rivelando un prepotente nucleo puramente metaforico, lasciando spazio anche a qualche breve sequenza soltanto narrativa.
La serie
Si tratta dunque di un episodio decisamente frammentato, rispetto ai precedenti in questa seconda metà di stagione. C’è spazio per il sottotesto soggiacente a Becky e Steve, come a Ed e Nadine, senza dimenticare poi la Signora Ceppo. Ciononostante quasi metà della puntata è dedicata al “viaggio” di BOB, mentre tutte le altre sequenze si contendono la mezz’ora restante, risultando in questo modo molto simile al tredicesimo capitolo come struttura.
Ed esattamente come due settimane fa è la prima e più lunga sequenza a svettare sulle altre. BOB guida a un posto sperduto nel bosco dove di materializza il convenience store che gli permette di accedere a uno stanzino dove può scambiare qualche parola con un Phillip Jeffries versione teiera gigante. Dall’entrata nel fantasmagorico edificio fino alla camera dove si fermerà Lynch usa un piano-sequenza carico di tensione ed post-editato che ci catapulta nella dimensione da incubo della pre-Loggia Nera, che in questo caso è il Blue Diamond Hotel, ovvero l’alberghetto a ore di Fuoco cammina con me. Dopo lo scoppio di corrente elettrica causato da uno dei woodsmen (che sembrano agli ordini di Jeffries-teiera), un altro boscaiolo guida BOB attraverso uno spazio condiviso e stratificato, dove gli alberi di un mondo si sovrappongono al corridoio di un secondo mondo, che porta proprio al motel, all’interno di una stanza del quale c’è, per l’appunto, una teiera di due metri che si proclama Phillip Jeffries. Il piano-sequenza svolge non solo la funzione di inquietare noi, ma anche quella di raccontare un BOB inedito, per la prima volta impaurito, probabilmente perché si sta avventurando in una zona che non vedeva da 25 anni, dandone così un ritratto ancor più sfaccettato. Ma anche smessi i panni del tesissimo long take la tecnica di Lynch non smette di invadere deliziosamente lo spazio raccontandoci il dialogo tra il doppelgänger e qualsiasi cosa sia ora quello che David Bowie era sedici anni fa, alternando una luce diffusa e irradiata nei campi di quest’ultimo con una intermittente nei controcampi di BOB, generando un contrasto confusionario che trionfa nel dialogo fra i due. Questo Jeffries sembra estraneo alle vicende e non vuole ancora parlare della misteriosa Judy, e poco dopo fa in modo di teletrasportare il serial killer attraverso una rete telefonica (ancora l’elettricità, se ne è già parlato a sufficienza), in un sequenza montata al contrario, perché ancora nella Loggia, turbando ancora di più lo spettatore, che non fa in tempo a riaversi che giunge Richard Horne ammettendo una volta per tutte di essere il figlio di Audrey.
Ciò che se ne ottiene è molto complesso. Il macchinario-Jeffries è identico a uno visto nella Loggia Bianca durante la fuga di Cooper dalla Stanza Rossa, quindi, trovandoci or ora dalla parte opposta, è fattibile che quello che abbiamo visto sia un inganno, pur non essendo da escludere il fatto che Jeffries sia in grado di viaggiare da un luogo all’altro in questa nuova forma, o evoluzione, come il BRACCIO. Ricordiamo che in primo luogo MIKE sta provando a ingannare il suo vecchio compagno da prima dell’inizio della stagione, e che il Gigante si sta muovendo, oltre al fatto che c’è già stato un precedente, se si parla di collaborazione trai due. Comunque non bisogna dimenticarsi dei woodsmen né del motel (la stanza è la stessa dei festini di Leland con Laura, Ronette e Theresa), che fanno pensare il tutto come un’operazione interna alla Loggia Nera, e quindi proiettano la responsabilità su MIKE. O quantomeno potevamo pensarlo fino alla settimana scorsa, ma le rivelazioni su Sarah Palmer e il fatto che sia comparsa sovrapposta alla vecchia figura dell’uomo mascherato saltellante che faceva da cartina tornasole per i passaggi dalla Loggia al convenience store. Se Sarah è dunque posseduta dall’Esperimento, non risulta difficile credere che abbia in qualche modo percepito l’apertura da questa dimensione verso il motel, avvertita dalle vestigia di uno dei suoi molti figli minori.
Un altro figlio, quello di Audrey, come anticipato si unisce a BOB, chiarendo una volte per tutte la prima metà suoi natali (come già si ipotizzava nel settimo episodio), confermando implicitamente la seconda, e scoprendo ormai, visto l’ampliarsi del discorso sulle realtà sovrapposte, anche la sua controparte Red, semmai ce ne fosse ancora bisogno. D’altro canto la parte mancante della famigliola non se la passa meglio, Audrey è prigioniera del coma-cioè-realtà-intersecante e pian piano viene messa all’angolo dalla logica narrativa perché non può uscire senza smettere di sognare, costretta a perpetuare il conflitto. Ma la creazione eccede ampiamente il creatore (o artista) come sempre in Lynch e la realtà di Audrey finisce per intersecarsi in un altro luogo di “mediano” come il Bang Bang Bar con quella di James Hurley e il suo pugnace amico inglese Freddy. Qui con un solo veloce scambio di battute, tanto basta per fare due nomi mai pronunciati (cioè quelli di Audrey, ora associati ai volti della combriccola delle ending al Roadhouse) abbiamo la conferma della sovrapposizione tra la sfera sognante e quella che abbiamo sempre considerato la realtà, venendo a coincidere i racconti speculari. Freddy stende con la verde mano destra due dei protagonisti di quei racconti per aiutare il suo amico e i due vengono portati in prigione. E qui in primo luogo si incontrano le due pedine del Gigante, il londinese e Naido sono imprigionati l’uno davanti all’altra, mentre sul sfondo emerge un possibile Billy. Se nello scorso episodio infatti l’incarcerato rintronato e puzzolente poteva sembrare il solito elemento di ridondanza lynchana, il fatto di vederlo ancora, di sentirlo ripetere a pappagallo tutto ciò che sente e dulcis in fundo, il fatto che sta di fatto perdendo sangue da naso e bocca e che, sempre come Cooper, non sia presente a se stesso, non può che guidarci verso di lui per la figura di Billy, visto che le dimensioni di Twin Peaks sono promiscue. Cosa ne verrà e quali sono i piani del Gigante per lui, perché a questo punto è ovvio che lo stia puntando, non si può ancora dire.
Una parte significativa dell’episodio è dunque dedicata a Twin Peaks nella sua accezione di fenomeno. Le conclusioni o quasi delle varie sottotrame ci portano verso un altro territorio, quello vecchio-stile e rigorosamente allegorico del primissimo Twin Peaks e allo stesso tempo lo sconfessano. Non c’è più spazio per i siparietti simil-soap che costruivano il mondo della serie, e ne otteniamo messaggi malinconici e contraddittori. Ed e Norma trasmettono speranza mentre la coppia Steve-Becky fa l’opposto. Se Ed-pubblico si libera della sua parte marcia, una Nadine, ovvia metafora con lo spettatore cieco, che ha scelto il proprio prodotto di riferimento (l’arte evasiva di Jacoby, per “spalare se stessi via dagli escrementi”) e può coronare il suo sogno d’amore con Norma-Lynch, la nuova generazione (si veda Shelly a fare da tramite nelle vesti di amica e madre) è intossicata e si autodistrugge in un rapporto con l’arte che è costitutivamente disfunzionale, come Steve il “soltanto diplomato” che si fa responsabile di un omicidio-suicidio. Non meno straziante è l’addio della Signora Ceppo, anche da un punto di vista emotivo, vista la morte dell’interprete Catherine E. Coulson. Margaret Lanterman, o Log Lady, era uno dei personaggi più twinpeaksiani, unendo con grazia genuina comicità, grottesco, e capacità sovrannaturale di prevedere gli eventi: da deridere e ascoltare con attenzione allo stesso tempo. La sua morte segna la fine di un’era televisiva e l’inizio di un’altra, il punto di passaggio dal vecchio al nuovo Twin Peaks, nonché la sparizione di un simbolo, un totem che ci dice che anche la televisione lynchana qui muore con lei. Per rinascere certo, ma prima muore assieme alla Signora Ceppo.
In conclusione, Lynch e Frost ci hanno regalato un altro episodio meraviglioso, uno dei più belli e allo stesso tempo importanti (extra-televisivamente parlando), che sta dietro soltanto ai due capolavori metafisici di ottava e quattordicesima puntata. Il livello rimane altissimo, e l’amalgama è gestito alla perfezione, con le sequenze di ordine minore che si incastrano co l’ambito metaforico e la macro-sequenza iniziale. Infatti gli Hutchens compaiono per regolare i conti con le altre sottotrame (come Duncan) e allo stesso tempo Lynch non riesce a smettere di giocare con lo spettatore regalando un altro momento a Dougie, che questa volta prende la scossa; si è risvegliato? Si tratta di Lynch, quindi ci sta prendendo amorevolmente in giro, aspetterà sicuramente il momento più inaspettato per cambiare le carte in tavole per quanto riguarda questo ennesimo Cooper, e il prossimo episodio verterà su questioni più importanti, lasciando Cooper-in-Dougie così com’è, o forse no, visto che una replica televisiva di Viale del tramonto gli ha ricordato il nome Gordon Cole e questi, nella persona fisica di Lynch, sta venendo a prenderlo, ora che si è palesato il collegamento trai due con Diane a ricoprire il ruolo del perno centrale.