Festa Mobile/Ritratti d’Artista
Premiato con due statuette allo scorso Sundance Film Festival di Salt Lake City e presentato in anteprima europea il 10 febbraio in occasione della 64esima edizione della Berlinale, “20.000 days on earth” è la radiografia cinematografica di uno dei personaggi più amati e controversi della storia musicale degli ultimi 30 anni. Per i fan italiani, il film uscirà nelle sale nei prossimi giorni, dopo la presentazione ufficiale al Torino Film Festival.
Per quanto riguarda il lavoro, io sono una sorta di megalomane, ma un megalomane con una bassissima stima di se stesso. Quello che Nick Cave non ha sicuramente perso con gli anni è lo sguardo tagliente accompagnato da un non comune senso del grottesco. Lontani i tempi degli occhiali scuri e delle frasi biascicate a testa bassa, del jazz punk inglese (per dirla alla Battiato) e dagli assalti ribelli alle spese di giornalisti poco compiacenti: su tutti la violenta intervista con Jack Barron pubblicata su NME|intervista a Nick Cave, lo storico magazine di controinformazione musicale del Regno Unito. Nel 2010, dopo aver travolto un autovelox con la sua Jaguar – sul lungomare che porta direttamente alla sua casa di Brighton, a sud di Londra – racconta divertito di essere diventato l’idolo cittadino, benchè sia difficile immaginarlo vivere in anonimato, insieme a moglie e due gemelli, mentre si aggira nei caffè cittadini alla ricerca di qualcosa da buttar giù.
E proprio il documentario di Forsyth e Pollard, offre al pubblico la possibilità di osservare un Nick Cave inedito, seguito per ventiquattro ore da una telecamera che lo immortala al risveglio, mentre una voce profonda e imperturbabile (la sua, ovviamente) racconta in un flusso di coscienza quell’ineludibile connessione fra l’arte, la vita e ciò che gli gira intorno. E intorno a Nick Cave ci sono gli anni felici dell’adolescenza, la scoperta del primo amore, la passione per la musica e per la letteratura, fino al tragico incidente stradale che a diciannove anni gli trascina via la figura paterna a cui è profondamente legato. Di fronte a un vero psicanalista, alle prese col buon vecchio metodo freudiano, Nick Cave si racconta cercando di analizzare un passato “mitico” e un futuro fatto di fragilità e paure, su tutte quella di perdere la propria memoria e quindi la propria identità, perchè la memoria è quello che siamo, e la nostra anima, la nostra ragione nell’essere vivi, sta nell’aggrapparci ad essa.
La scelta del titolo, non casuale, coincide con l’inizio delle registrazioni di Push the sky away, ultimo album in studio pubblicato da Cave e i Bad Seeds nel febbraio del 2013, coincidente esattamente col ventimillesimo giorno sulla terra dell’artista australiano. Un Leopold Bloom che si perde nelle strade di Brighton – sua città adottiva, un posto dove piove sempre e dove fa sempre freddo – mentre riflette della brevità della vita e sull’importanza di lasciare una traccia, scritta, del proprio passaggio. Tra i momenti più intensi del documentario c’è il ricordo che Nick Cave dedica al padre. Un padre, come già detto, che riuscì appena a sostenerlo nella sua scelta, prima di perdere improvvisamente la vita: fece in tempo a vedermi un paio di volte. La prima non fu una vera e propria esibizione, mentre nella seconda, in una vigilia di capodanno, mi esibii con una band vera e propria. Un angelo, così il padre definì quel giovane e sconosciuto ribelle mentre lo vide dimenarsi sul palco, proprio lui, Cave, che all’esistenza degli angeli non ha mai creduto, come ricorda il primo verso di una delle sue più intense ballate, pezzo d’esordio di The Boatsman Call (1997), vero punto di svolta della sua carriera.
20.000 days on earth è anche un’occasione imperdibile per conoscere il quotidiano di Nick Cave, dalla nascita delle sue liriche alle numerose frequentazioni: molti i musicisti e gli amici che lo accompagnano in questo viaggio, su tutti Warren Ellis e Blixa Bargeld, storico componente dei Bad Seeds che ha collaborato con Cave per vent’anni, uscendo dal gruppo nel 2003 per dedicarsi ai suoi progetti cinematografici. Dal suo stile sempre più raffinato – debito per sua stessa ammissione della carica di Elvis e della classe di Nina Simone – al passato burrascoso fatto di dipendenza dall’eroina e dall’abuso di alcool, l’angelo nero non si risparmia su nulla, raccontandosi per l’essere umano che ha scoperto di essere – o meglio – che ha cessato di essere alla fine del ventesimo secolo, riconoscendosi perlopiù nella metafora di un cannibale affamato di cibo, ingabbiato in un piacevole quotidiano fatto di obblighi matrimoniali e doveri paterni.
E per placare quell’appetito, lo stesso Nick Cave ha creato il Musuem of Important Shit|Museum of Important Shit (facilmente traducibile in italiano) dove ognuno può postare un pezzo di sè, un archivio di piccoli oggetti e chincaglierie per raccontare se stessi attraverso gli oggetti importanti che ci appartengono. Perché anche Nick il duro, in fin dei conti, ha un cuore. Quello stesso cuore che – ebbe a dire un giorno in un’intervista – ama farsi manipolare da ciò che vede, come nelle commedie romantiche e strappalacrime dove, in fin dei conti, riesci sempre a trovare il tuo kleenex al momento giusto.
Titolo originale: 20.000 Days on earth
Nazione: Regno Unito
Anno: 2014
Genere: Documentario musicale, Drammatico
Durata: 97′
Regia: Iain Forsyth, Jane Pollard
Sito ufficiale: www.20000daysonearth.com
Cast: Nick Cave, Susie Bick, Warren Ellis, Darian Leader, Ray Winstone, Blixa Bargeld, Kylie Minogue, Arthur Cave, Earl Cave, Thomas Wydler, Martyn Casey
Produzione: Corniche Pictures, British Film Institute, Film4, Pulse Films
Distribuzione: Nexo Digital
Data di uscita: 02 Dicembre 2014 (cinema)