“Never-ending Man – Hayao Miyazaki” di Kaku Arakawa

L'arte non va mai in pensione

never ending man hayao miyazaki copertina

Eccezionalmente in replica Giovedì 23 Novembre, il ciclo Nexo Anime continua con Owaranai hito – Miyazaki Hayao, documentario d’esordio di Kaku Arakawa che ripercorre gli ultimi anni di attività del sensei dopo il “ritiro” e restituisce il ritratto di un sognatore che, nonostante l’età, non sembra disposto a imboccare il viale del tramonto.

Era il 2013 quando Miyazaki annunciò in conferenza stampa che Si alza il vento sarebbe stato il suo ultimo film: lo scetticismo era molto, ma all’uscita nelle sale il carattere testamentario dell’opera non lasciò adito a dubbi e fu chiaro, altresì, che presto anche quel «regno dei sogni e della follia» avrebbe chiuso i battenti. Da qualche tempo però in quel di Koganei qualcosa ha ripreso a muoversi: mettendo da parte l’inveterata idiosincrasia per il digitale, il maestro ha deciso di sfruttare le immense possibilità del mezzo per dar vita al mondo di Boro, il bruco protagonista del suo nuovo corto. Le difficoltà – e i diverbi – non sono pochi: per un regista abituato a intervenire su ogni ekonte e in ogni fase della produzione, lavorare su supporti informatici e scendere a patti con animatori in CGI è una sorta di contrappasso. Il film prende forma, ma un’altra idea presto folgora il never-ending man: realizzare un lungometraggio – il misterioso Kimitachi wa dō ikiru ka annunciato il 28 Ottobre – interamente a mano.

Never-ending Man - Hayao Miyazaki
Miyazaki impegnato in una discussione con gli animatori in CG

Benché tanto rozzo da rasentare l’imbarazzo – soprattutto se si guarda al montaggio – , nei suoi soli 70 minuti l’opera prima di Arakawa rivela sfaccettature inedite – e per certi versi oscure – della personalità del grande autore, complici l’età e la volontà di tirare le somme di una carriera non ancora conclusa. La prima ammissione di colpa di Miyazaki riguarda proprio il suo carattere cronide: ogni talento approdato allo Studio Ghibli che potesse competere con lui è stato fagocitato – pensiamo a Yoshifumi Kondō, regista de I sospiri del mio cuore (1995) scomparso tre anni più tardi a causa di un aneurisma con tutta probabilità dovuto all’eccesso di lavoro, o ancora a Hiromasa Yonebayashi, le cui pretese autoriali sono state castrate durante la realizzazione di Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento (2010) per poi sbocciare con Mary to Majo no hana (2017), prodotto in seno allo Studio Ponoc da lui fondato – o espulso – il caso di Mamoru Hosoda estromesso dalla regia de Il castello errante di Howl (2004) e fondatore dello Studio Chizu che di recente ci ha regalato The Boy and the Beast (2015), o ancor prima del team di giovanissimi capitanati da Tomomi Mochizuki che firmò Si sente il mare (1993), cui fu impedito di proseguire la propria carriera nell’animazione. Indirettamente, la dolorosa ma inconfutabile verità è che Miyazaki di eredi ne avrebbe avuti, ma che per orgoglio preferì far affondare la nave di cui sarebbe stato così il solo e unico capitano: se sia stato un bene o un male, lo si vedrà dalle strade che i nomi sovra citati decideranno di prendere nel prossimo futuro.

Never-ending Man - Hayao Miyazaki
Frame da “I sospiri del mio cuore” (1995)

Lasciando la macchina da presa dove si svolge l’azione piuttosto che descrivere quest’ultima servendosi di una regia ponderata, Arakawa ci rende partecipi dei momenti d’intimità e dei soliloqui di Miya-san, manifesti – spesso e volentieri contraddittori, come si addice a un vero artista – della sua complessa concezione di deontologia professionale e di estetica. Certo il soggetto, consapevole di essere ripreso, non manca di tradire un certo autocompiacimento nel manifestare la sua stravaganza, esibendo un atteggiamento ben più sopra le righe di quanto visto ne Il regno dei sogni e della follia (2013) di Mami Sunada – altro documentario che consigliamo a chi volesse approfondire la realtà produttiva dello Studio Ghibli prima del fermo; cionondimeno si mette a nudo, mostrandosi per quello che è: un uomo incredibilmente solo, schiacciato sotto il peso del suo stesso talento e creatività e spaventato dalla morte, o meglio dall’eventualità che quest’ultima lo costringa a lasciare a metà quanto iniziato.

Never-ending Man - Hayao Miyazaki
Frame da “Il regno dei sogni e della follia” (2013)

Di fatto, Never-ending man – Hayao Miyazaki risulta interessante non per le sbirciatine al making of dei film in cantiere – gli aggiornamenti sui quali sono reperibili in rete grazie alla vastissima comunità di appassionati – , quanto per il taglio spontaneo e antilirico con cui la vita del loro autore è presentata allo spettatore. Forse un po’ troppo amatoriale, ma comunque da non perdere.