“7 minuti” di Massini allo Strehler di Milano

La parola alle delegate di fabbrica

Le undici componenti del consiglio di fabbrica di un’azienda tessile da poco acquistata da un gruppo multinazionale devono discutere e votare delle richieste che la dirigenza ha avanzato alla loro portavoce. Contrariamente ai timori di delocalizzazione e di licenziamenti, i nuovi proprietari chiedono solo di ridurre di 7 minuti la pausa lavorativa. Solo? Il generale entusiasmo con cui la richiesta viene inizialmente accolta dalle donne è, a poco a poco, messo in discussione dalla determinazione della portavoce, la più anziana ed esperta tra loro, convinta che quei piccoli, quasi insignificanti, 7 minuti abbiano in realtà un valore molto più ampio e significhino molto di più, in termini di “diritti”, di “dignità” e di rapporto tra la fabbrica e la società. Si arriva così a una conclusione in sospeso, in cui l’esito della votazione resta aperto e incerto.

Stefano Massini, come in altri suoi lavori, prende spunto da brucianti questioni di attualità politico-sociale e, in questo caso, persino da un fatto di cronaca (un episodio verificatosi in una fabbrica francese). Struttura questa materia utilizzando come modello la famosa pièce di Reginald Rose, 12 angry men, nota soprattutto per l’adattamento cinematografico realizzato da Sidney Lumet (La parola ai giurati), dove – come si ricorderà – un caparbio Henry Fonda, lottava contro la generale convinzione degli altri giurati che il giovane accusato fosse colpevole di omicidio.

Qualche anno fa, il regista di questo spettacolo (Alessandro Gassman) aveva messo in scena anche il testo di Rose. Ora, affrontando 7 minuti, ricorre a strumenti registici simili – le proiezioni sul velatino che introducono una scansione temporale di tipo cinematografico, l’utilizzo di cambi luce molto pronunciati, le sottolineature enfatiche della musica – dando vita a un teatro professionalmente di alto livello, non privo di momenti suggestivi, ma che spesso sembra cercare l’“effetto” fine a se stesso.

Non è però solo la regia che non convince. Quel che mi chiedo è se il testo riesca per davvero a infondere tensione nella decisione in cui sono impegnate le donne. Dato che la posizione alternativa è argomentata soprattutto da un’impiegata sciocchina e da immigrate impaurite, non è che, fin dall’inizio, lo spettatore non ha altra possibilità che identificarsi con la portavoce e con la sua posizione intransigente? In altre parole, lo spettatore è realmente coinvolto nella decisione o il testo si limita a forzare, tramite il suo impianto retorico, una scontata adesione al “no”? Chi, nel buio della sala, non si sentirà – fin dal primo momento – dalla parte della “dignità” e dei “diritti”? Ma questa adesione riesce a mettere realmente in discussione il modo in cui, fuori dal teatro, ci si rapporta al mercato, al lavoro e ai “diritti”?

“7 minuti” di Stefano Massini
Uno spettacolo di Alessandro Gassmann.
Con Ottavia Piccolo e Paola Di Meglio, Silvia Piovan, Olga Rossi, Balkissa Maiga, Stefania Ugomari Di Blas, Cecilia Di Giuli, Eleonora Bolla, Vittoria Corallo, Arianna Ancarani, Giulia Zeetti.
Scenografia: Gianluca Amodio. Costumi: Lauretta Salvagnin. Light designer: Marco Palmieri. Musiche originali: Pivio & Aldo de Scalzi. Videografie: Marco Schiavoni.
Produzione: Fondazione Emilia Romagna Teatro, Teatro Stabile dell’Umbria, Teatro Stabile del Veneto.
Visto al Teatro Strehler di Milano il 23 febbraio 2016