Rukeli era un pugile zingaro nella Germania nazista, ed è quanto basta per capire che taglio prenderà la sua vicenda. Ma prima di arrivare a una fine, c’è un percorso, c’è una storia: e in questo caso, ci dice Gianmarco Busetto, andato in scena con 9841/Rukeli per Farmacia Zoo:È al Teatro Studio Zephiro di Castelfranco lo scorso 18 dicembre, “quella storia avrebbe potuto essere la mia”.
Perché Rukeli, che era un pugile talmente esile e talmente forte da battere il fior fiore dei campioni di arianità, si stanca di stare al gioco dei gerarchi, che pur di farlo perdere almeno una volta gli ordinano di incollarsi i piedi al centro del ring e guai a lui se li alza (guai a lui e alla sua famiglia, beneinteso).
Rukeli deve salire sul ring per perdere, perché è esattamente l’inferiorità zingara che gli ordinano di dimostrare. E allora Rukeli li mette in ridicolo come solo un ragazzo di vent’anni o giù di lì può fare: con una solenne e teatralissima messa in scena. Lui ci sale sì, su quel ring, ma con i capelli tinti di biondo e il corpo bianchissimo, coperto di farina.
“Non ha perso Rukeli, ha perso un ariano come voi”.
Ecco allora perché “la sua storia avrebbe potuto essere la mia”. Perché quando la vita spinge, allora tu rispondi. Quando ti provocano, la tua dignità si ribella. Quando hai vent’anni, la vita è tutta da vivere, non l’inizio di una condanna a morte crudele “oltre i limiti del disumano”, come si troverà scritto nei verbali del campo di concentramento.
Rivelare un finale non è certo una galanteria; ma la storia di Rukeli, che in realtà si chamava Johann Wilhelm Trollmann, assume la giusta prospettiva solo se raccontata tutta. E solo se la si conosce tutta si può provare a dare una risposta (ognuno la sua) alla domanda che quel provocatore di moti interiori che si chiama Gianmarco Busetto mette in cima alla narrazione: a che punto l’essere umano smette di lottare?
Rukeli non smette mai. Meglio: Rukeli, che pure nel lager non voleva farsi notare, è costretto a non smettere mai, perché qualcuno lo riconosce e lo vuole far combattere anche lì. Arriverà alla morte in circostanze ancora misteriose, ucciso al termine di un ultimo incontro di pugilato (che ovviamente, con il corpo lacerato dal lager, vince comunque). Rukeli non smette mai, perché Rukeli significa albero, e con le radici salde, incastrate a terra, solo l’accetta può averla vinta. Rukeli non smette mai.
Ed è questa la scelta stilistica di Busetto, e di Enrico Tavella che insieme ne firma la regia: la forza. Il corpo dell’attore – ampio, largo, saldo – parla di resistenza, di impatto, di sfondamento. La polvere bianca che scivola via dal corpo a ogni minimo movimento è la fisicità che rifiuta costantemente l’arianizzazione, l’ignominia, l’insulto. La voce, profonda come un dedalo di radici, appunto, tiene ancorati il personaggio, l’uomo e l’attore. Rukeli è un monumento alla forza, nel racconto di Busetto; e quando arriva al punto in cui il campione si domanda se mai rivedrà sua figlia allora eccola lì la forza più definitiva e angosciante, quella dell’amore, che esce autentica dal volto di Busetto, alla prima replica dopo essere diventato padre, e attanaglia.
La regia guida con precisione questa forza emotiva, fisica, spirituale, storica, attraverso la scelta di una scena vuota, disegnata dalle luci interiori, minime, sobrie di Giorgia Cabianca e Leonardo Foi. La colonna sonora scelta da Tavella amplifica l’azione, dandole una dimensione uditiva e toccando corde emotive più ancestrali e nascoste. I video in scena, troppo spesso fini a se stessi nel teatro contemporaneo, proiettano con scelte misurate immagini del corpo dell’attore e diventando finalmente funzionali a raccontarci quell’altro da sè che ogni perseguitato, forse, può aver vissuto: “sono io, ma mi ordinano di non esserlo, sono altro da me, tento un’estraniazione”.
“Questo spettacolo mi ha aiutato a distruggere il mio ego attoriale”, racconta Busetto al termine dello spettacolo. E infatti si prende pochi dei molti applausi finali, lascia la scena a lui, Rukeli, si ripara dietro le quinte, quasi a contenere la responsabilità di aver raccontato una storia così grande e infinitamente ingiusta.
Non stupisce che 9841/Rukeli abbia vinto il Roma Fringe Festival 2016, la più importante rassegna italiana dedicata al Teatro Off. Non stupisce che Farmacia Zoo:È dichiari di voler “valorizzare l’arte come strumento di indagine e di cambiamento personale e sociale”.
Foto Davide Gasparetti