Il 39. Festival Internazionale del Teatro ha riscoperto a Venezia un nuovo Goldoni a 300 anni dalla sua nascita, stimolando – secondo David Croff – nuove e libere riscritture per trovare l’essenza del nostro tempo, e, ancor più – incalza il direttore del festival, Maurizio Scaparro – per rinvenire una creatività che unisca classico e contemporaneo e soprattutto “far sorgere un rapporto vitale tra teatro e giovani”.
Una delle novità all’interno di questa manifestazione risulta la realizzazione di un Campus dedicato agli studenti universitari dei Paesi europei e del mediterraneo, quale laboratorio di ricerca e di studi teatrali.
Per entrare nel cuore di questo fermento creativo abbiamo avvicinato cinque, fra autori e registi presenti in questo festival: Jovan Cirilov, Susanne Winnaker, Andrea Paciotto, rispettivamente traduttore, soggettista, regista della versione serba del “Servitore di due padroni”. Pierpaolo Sepe, regista, e Letizia Russo, soggettista del “Feudatario”.
ANDREA PACIOTTO proviene da una lunga esperienza teatrale negli USA e in Europa, soprattutto nell’area teatrale di Amsterdan.
“Risale al 1996 – spiega Paciotto – il mio primo contatto con il teatro serbo. Si è avviata subito una sintonia tra me e Cirilov nell’approfondimento degli archetipi greci raffrontati con gli autori moderni. In questo progetto abbiamo inserito il nostro Pasolini date le sue originali attenzioni al mondo della tragedia greca.
Venendo a Goldoni e al Servitore, mi ha affascinato il tema della catastrofe contemporanea e all’indagine dell’uomo di fronte al dilemma: è meglio rincorrere le ricchezze o inseguire ciò che si desidera o si sogna? In questo testo traduzione e adattamento coincidono. Le frasi si sono trasformate in questo setaccio per renderle aderenti al contesto geografico balcanico e alle caratteristiche degli attori. A me non interessano la cronaca, i costumi, la tecnica rifatta in maniera archeologica: punto sulla vivacità dei messaggi e sul calore dell’azione, rapportandomi sempre a Goldoni, altrimenti sarei andato alla deriva.
Mi è stato rimproverato che abbia ucciso la comicità goldoniana: Arlecchino non è un comico, rappresenta un dramma nelle sue sequenze di truffaldino. Abbiamo in parte seguito l’interpretazione di Strelher. Tutta la scena del pranzo è una citazione dello spettacolo di Strelher CIRILOV è uno dei fondatori del teatro serbo contemporaneo. Per lui Goldoni rappresenta un incontro ricorrente. Nel 18° secolo – spiega – periodo della rinascita culturale serba, il primo testo straniero tradotto in lingua serba è stato “Il mercante” di Goldoni. Belgrado è la città europea in cui si è messo in scena Goldoni, più di tutte le altre città. Mi commuovo ancora al ricordo di Strelher incontrato a Belgrado con l’Arlecchino interpretato da Moretti.
Assieme a Susanne ho lavorato sul testo del Servitore nella traduzione dal francese cercando di adeguare le inflessioni dialettali alla lingua serba. Per capire questo testo occorre tener presente che la sua trama parte da un assassinio e dallo scambio dei ruoli. Tutto ciò che segue nasce dal gioco delle mafie, della criminalità recondita. Abbiamo impostato il tutto sulla ironia, caratteristica della nostra gente, perché in fondo tutti siamo doppiogiochisti”.
SUSANNE WINNAKER è la più nota drammaturga serba e direttrice di vari teatri anche di lingua tedesca.
“Dal momento – esordisce – che non ho avevo mai incontrato Goldoni sino al momento della proposta di Cirilov, sono rimasta sorpresa e interdetta nell’impostare la commedia in questione. Inizialmente scettica sull’aggancio con i problemi contemporanei e, in special modo, sulla comparazione della lingua per la ricerca del senso. Ci è costata fatica riscrivere il testo per trovare il bandolo del doppio gioco. Abbiamo ridotto allo scheletro il testo goldoniano per riagganciarlo alla contemporaneità. Ciò ci è stato permesso perché il pensiero di Goldoni è molto aperto. Perciò siamo stati fedeli alla struttura goldoniana al fine di rileggerlo in chiave moderna”.
PIERPAOLO SEPE è un noto frequentatore della drammaturgia inglese e tedesca, specie quella di Wender.
“Il testo presentatomi da Letizia -ci spiega – mi ha entusiasmato perché avevo urgenza di raccontare i nostri giorni che rassomigliano allo squilibrio sociale dell’epoca goldoniana.
Il feudatario, allora, non si era mai ribellato. Oggi il capitale corrompe e despotizza e assopisce qualsiasi protesta.
Ho usato grande cura nella elaborazione del linguaggio: rielaborare cioè il contenuto goldoniano in funzione del suo linguaggio che, miracolosamente, respira con il nostro. Il linguaggio ottenuto è frutto pure dell’incontro di tanti artisti; nel mio caso undici attori provenienti da varie nazionalità. Tutto è sintesi di molteplici influenze culturali, che, nel loro sommarsi, non eliminano l’apporto della nostra singolarità.
Mi si critica perché i riferimenti sociali man mano nel testo vadano attenuandosi. Rispondo che nella prima parte si contestualizza il come il sociale influisca sull’individuo, poi abbiamo un dilagare sul collettivo. Io rifletto: il sociale è un insieme di unità. Il sociale crea sempre sino alla fine della commedia una forte dinamica sugli individui.
Mi si fa l’appunto di essere un maudit un “maladettista”. Un po’ è vero perché mi sforzo di non piacere a tutti. C’è per me un obbligo di rappresentanza. L’interpretazione del testo è un arbitrio. Il linguaggio che tenta di essere moderno, deve avvicinarsi al parlato. Io leggo così la realtà. Cerco di resuscitare il sociale risvegliando le coscienze. Voglio comunque sottolineare che, ribadendo il concetto d’amore, si smuovono le coscienze”.
LETIZIA RUSSO, scrittrice, drammaturga.
“Incontrando Goldoni nel Feudatario – ci chiarisce – ho riscontrato che l’autore non ha avuto il coraggio di andare sino in fondo. Ho affrontato questo testo cosciente delle sue molteplici complicazioni, per cui quasi mi sfuggiva dalle mani: non era necessario un semplice adattamento ma una vera riscrittura.
Non è per me un Goldoni resuscitato dai morti, ma un Goldoni che ci osserva da una distanza di 300 anni. Può ritenersi un contemporaneo perché parla di temi universali e in questo caso tratta di un tema universale come quello del potere.
Parlavate con Sepe del sociale. Io aggiungo che i Greci seppellivano il sociale dietro la poesia e lo cantavano e trattavano poeticamente perché la questione sociale non si perde mai ed è insita nel contesto umano. Nel Feudatario emerge la questione sociale tout-court.
Per quanto riguarda l’argomento del capitale, sono convinta che volere uccidere il capitale è un’utopia. Basta riflettere che anche noi, lavorando, ratifichiamo il capitale. Tutti i personaggi che si muovono in scena confermano la loro incapacità di sovvertire l’ordine. Il dovere sociale dell’arte è quello di individuare la crisi e non c’è luogo più opportuno per la denuncia come il teatro.
Oggi si denunciano a tutto spiano la violenza sulle donne –altro tema di questa commedia – E’ una violenza cui non credo. Le donne sono sempre più donne di potere. Occorre perciò restituire la realtà nella sua essenza. Rosaria in queste scene rivela anche lei la sua violenza.
Mi chiedete se nel teatro si fa fatica a trasmettere la denuncia sociale. Si, è vero. Sfido io: in Italia la politica è fatta da cariatidi. La persona anziana ha difficoltà di capire il contemporaneo. Le dinamiche sane nel teatro vengono ostacolate. Noi non comunichiamo, rinchiusi, come siamo, nel nostro orto”.