Venezia 67. Controcampo Italiano
L’ultima, inguardabile, opera di Giada Colagrande, che questa volta fa il verso a Hitchcock. Regia imbarazzante, attori imbarazzanti, sceneggiatura imbarazzante. Si sconsiglia la visione anche a chi scelga di affrontarlo per cinico divertimento.
A New York, Julie si innamora del romanziere di successo Max Oliver, autore del romanzo A Woman, la cui protagonista ricorda Lucia Giordano, moglie defunta dello scrittore e ballerina di tango. Dopo solo quattro giorni, Max la invita ad andare a vivere con lui nella sua casa nella Puglia salentina, e Julie lo segue sull’onda della passione. Arrivata in Italia, la ragazza comincia da subito a nutrire un interesse morboso per la moglie defunta, legge ossessivamente il romanzo e cerca di imitarla nei modi fino ad indossare un cappello dal quale Lucia era inseparabile. L’arrivo in Puglia di Natalie, una cara amica di Julie di origine italiana, fa precipitare la situazione: Natalie sembra nutrire sentimenti per Max, e la figura spettrale della moglie morta si fa sempre più ingombrante nella mente di Julie…
La terza opera di Giada Colagrande ci rallegra del fatto che la cineasta italiana riesca ancora, quasi inspiegabilmente, a proporre i suoi imbarazzanti film in importanti festival internazionali (già la Mostra aveva accolto l’agghiacciante Before it had a name nel 2005). Diciamo quasi inpspiegabilmente perché l’unica spiegazione possibile, data le nulle capacità della regista, è il legame, ora consolidato in matrimonio, che la lega all’attore Willem Dafoe, che infatti si presta sulla scia dell’entusiasmo amoroso a sottoporsi a prove attoriali così inguardabili che l’amore cieco non può che essere la unica ragione. Dove iniziare a elencare i piccoli orrori di cui ci delizia la pellicola? Questa volta la regsita abruzzese decide di fare il verso alla cinematografia hitchcockiana, impantanandosi a metà strada tra Rebecca e La donna che visse due volte. Le inquadrature sono rigorosamente una per scena, a camera fissa se non per le sue amate zoommate, goffe, violente e assolutamente fuori luogo, che a cadenza regolare colgono lo spettatore con una fitta al cuore, quasi la Colagrande premesse contemporaneamente sulla telecamera e sulla nostra giugulare. Gli attori, persino Dafoe e la Rocca, vengono regolarmente colti da improvvisa paralisi ad ogni inquadratura, recitano battute che trasformano Cristiano Malgioglio nel più grande poeta contemporaneo con l’enfasi di chi non si ricorda neanche più perché è rimasto invischiato in un’operazione così lontana dal cinema. Fare un brutto film forse è facile, ma ci vuole una cura particolare per superare il limite dell’orrore involontario.
Sembra quasi che la Colagrande non colga la sottilissima linea che la separa dal ridicolo, e la valica a balzi elefantiaci. Perché, ad esempio, la protagonista, ufficialmente barista a New York, attraversa ogni scena in cui pendola dalla spiaggia alla casa avvolta dai meravigliosi abiti di Ennio Capasa, stilista per il film? Come si giustifica? Dov’è il significato recondito che offra una spiegazione alternativa al fatto che Capasa è pugliese, e il film è sovvenzionato dalla Puglia Film Commission? Perché verso la fine del film la protagonista si lascia andare ad espressioni comatose che aspirerebbero a esprimere una sorta di psicosi? Nessun essere umano può essere così incapace di recitare da arrivare ad una tale interpretazione senza un’esplicita richiesta della regista, e ne sono prova Dafoe e la Rocca, buoni interpreti che in mano alla Colagrande si trasformano nelle ultime comparse di una recita da paese. Oppure, perché nonostante chiunque riconosca universalmente che la Colagrande dovrebbe dedicarsi a ben altro che a fare film, data la costanza con cui ogni sua proiezione viene accolta da fischi, boati e grida disperate, la si ritrova sciaguratamente al lido di Venezia con la fastidiosa puntualità di un temporale di fine estate?
Unica nota positiva è che anche quest’ultima fatica della signora Dafoe ci insegna tre cose: non è sempre necessario essere registi per presentare un film alla Mostra; il nepotismo è un male che non affligge solo l’Italia, data la nazionalità del marito di Giada; e soprattutto, Willem Dafoe è davvero molto innamorato. E ne saremmo anche felici, se solo il suo amore non comportasse un danno così grande per noi.
Titolo originale: A Woman
Nazione: Italia
Anno: 2010
Genere: Drammatico
Durata: 97’
Regia: Giada Colagrande
Cast: Willem Dafoe, Jess Weixler, Stefania Rocca, Michele Venitucci
Produzione: Bidou Pictures
Data di uscita: Venezia 2010 (cinema)
Foto a cura di Romina Greggio Copyright © NonSoloCinema.com – Romina Greggio