Sui titoli di testa parte subito un dialogo concitato tra due donne, le inquadrature che si alternano sono riprese ad altezza dello sguardo di un bambino che accanto a sua madre ascolta le cose tremende che dice di lui all’assistente sociale. Sullo sfondo della cittadina di Dunkerque, all’estremo nord est della Francia e lontana dalle luci dorate di Parigi, Emanuelle Bercot parla nuovamente di adolescenza, tema ricorrente nella sua filmografia, e più volte raccontato al cinema: con lo sguardo affettuoso di François Truffaut, con quello più scarno e acido dei fratelli Dardenne.
Dall’età di sei anni Malony entra ed esce dagli istituti, dopo l’abbandono della giovane madre, tossicodipendente e con un figlio più piccolo; ma il loro è un rapporto che non s’interrompe definitivamente, con alti e bassi resta forte, vincolato dalla reciproca dipendenza, prodotta da una disperata emarginazione sociale. Nell’arco di dieci anni, lo vediamo crescere: ladro di macchine, violento con chi odia e con chi ama. Adolescente perduto, denutrito di tutto, solitario e in rivolta; cresciuto tra educatori fragili o troppo empatici (ottima l’interpretazione di Benoit Magimel, così somigliante a Sean Penn) e una giudice del tribunale dei minori (Catherine Deneuve) che lo segue, cercando di volta in volta, tra comunità e carcere minorile, cosa sia meglio per lui: un compito complesso che mescola l’osservanza della legge al buon senso, l’intuizione e all’azzardo.
Malony (ottimo l’esordio di Rod Paradot), attraversa con rabbia e disperazione i tentativi di recupero, urtando contro i dubbi, le fragilità e le impotenze degli adulti che fanno parte di un sistema inadeguato a prevenire e a salvare. Pare irriducibile, con esplosioni improvvise proprio quando sembra affacciarsi per lui una nuova possibilità; conosce l’amore che gli offre una ragazzina con i capelli corti, vestita come un maschio e con lo sguardo di giovanissima amante e giovanissima madre; un amore che in principio consuma con violenza perché non sa fare altro.
Scritto con Marcia Romano e film d’apertura al 68° Festival di Cannes, la prima volta per una firma femminile, A testa alta prende forma dai ricordi d’infanzia della regista (suo zio era un educatore) e dalla frequentazione di giudici minorili e delle comunità di recupero. La storia di Malony ha il pregio di essere raccontata fissando nel naturalistico fluire degli eventi un mosaico di elementi che caratterizzano e restituiscono, pur con qualche discontinuità e un’insistita enfasi sul finale, le complessità e le contraddizioni
dell’assistenza ai minori; l’andar per tentativi e le proiezioni degli operatori, spesso lasciati soli, senza un sostegno adeguato.
Emanuelle Bercot traccia un percorso credibile, costellato d’inciampi e violenza, di razzismo e d’ignoranza. Fotografa il disagio con attenzione alle sue fenomenologie; e anche il supposto happy-and, che potrebbe essere tacciato di semplificazione buonista, è in realtà da considerare solo come ultima inquadratura di una storia che non finisce qui; una sospensione che vede Malony finalmente capace di proteggere con amore, mentre lo seguiamo uscire dal tribunale, dopo aver presentato a una “nonna” d’elezione, affettivamente turbata e impacciata, il frutto della trovata capacità d’amare. Quale potrà essere la vita di Malony non ci è dato di saperlo; i nodi da sciogliere restano ancora molti, e lo spettatore lo sa.
Titolo originale: La Tête haute
Nazione: Francia
Anno: 2015
Genere: Drammatico
Durata: 119′
Regia: Emmanuelle BercotCast: Catherine Deneuve, Benoît Magimel, Sara Forestier, Ludovic Berthillot, Aurore Broutin, Diane Rouxel, Rod Paradot
Produzione: France 2 Cinéma, Les Films du Kiosque
Distribuzione: Officine Ubu
Data di uscita: Cannes 2015
19 Novembre 2015 (cinema)