Era il 1983: Björn Borg si ritirava dal tennis; Ronald Reagan annunciava lo “scudo spaziale”; Madonna pubblicava il suo primo album; sugli schermi italiani si proiettava il primo cine-panettone: Vacanze di Natale; e la Nbc mandava in onda The A-Team, telefilm creato da Stephen J. Cannell.
“Dieci anni fa gli uomini di un commando specializzato operante in Vietnam vennero condannati ingiustamente da un tribunale militare. Evasi da un carcere di massima sicurezza, si rifugiarono a Los Angeles vivendo in clandestinità. Sono tuttora ricercati, ma se avete un problema che nessuno può risolvere – e se riuscite a trovarli – forse potrete ingaggiare il famoso A-Team”.
Nessuna formula magica o nessun ritornello di un qualunque cartone giapponese trapiantato in qualche fascia pomeridiana, mi ha mai affascinato come l’intro della sigla di uno dei telefilm cult più amati degli anni ’80.
Ci sono telefilm e telefilm, ognuno annovera in una personale (telefilm)play list il proprio pezzo da novanta, o possiede una lista intoccabile di cult inarrivabili, che hanno segnato la propria adolescenza.
Senza togliere nulla agli Novanta e Duemila, con i loro impareggiabili Baywatch, Twin Peaks, Beverly Hills, X- Files Buffy, Friends, Will&Grace, Sex and the City, 24, Lost, Grey’s Anatomy… Ma, è legittimo e necessario ricordare un background memorabile e indimenticabile di serie che hanno “marchiato” quelle che ora possiamo definire “giovani generazioni vintage”.
Dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, veri e propri fenomeni televisivi hanno reso schiavi del piccolo schermo ondate di giovani e non, creando miti e icone senza tempo: La famiglia Addams, Star trek, Happy Days, Love Boat, Charlie’s Angels, Starsky & Hutch, Fame, Chips, Hazzard, I Jefferson, I Robinsons, Supercar, Magnum PI e naturalmente l’A-Team (la lista qui sopra è frutto di una soffertissima selezione, dovuta a crudeli motivi di spazio).
Il grande schermo ha attinto con entusiasmo, non sempre confermato dal box office, da alcune serie cult di quegli anni: nel 2000 e nel 2003, per la regia di McG, approdano al cinema le Charlie’s Angels, nel 2004, diretti da Todd Phillips, gli impagabili Ben Stiller e Owen Wilson vestono i panni di Starsky & Hutch, il regista Jay Chandrasekhar, nel 2005, rende omaggio ai cugini Dukes di Hazzard, nel 2006 è stato, poi, il turno di Miami Vice diretto da Michael Mann.
Giugno 2010: è la volta dell’A-Team.
L’A-Team, una delle serie immortali dei mitici Anni ’80, trasmessa per cinque stagioni (a partire dal 1984 anche in Italia), fino al 1987, diventa ora un film diretto da Joe Carnahan (Smokin’ Aces).
È dagli anni ’90 che sui tavoli dei producers hollywoodiani gira l’idea di realizzare un film con protagonista quel “commando” di fuggiaschi del Vietnam, accusati ingiustamente da un tribunale militare – Durante la guerra in Vietnam, il Colonnello John “Hannibal” Smith e la sua squadra, l’A-Team (squadra A), vengono accusati di aver rapinato la banca di Hanoi (fatto che in realtà hanno commesso, ma dietro un ordine militare), e per questo vengono incarcerati.
Riescono a scappare, e così inizia la loro caccia da parte del Colonnello Lynch e poi del Colonnello Decker. Mentre sono intenti a nascondersi, costantemente braccati, diventano eroi su richiesta, buoni mercenari insomma, aiutando chiunque riesca a contattarli, come formula recita.
Per ragioni cronologiche, non essendo il film ambientato nello stesso arco temporale del serial televisivo, i produttori hanno rimodernizzato la storia, utilizzando, come sfondo della vicenda, la prima guerra del Golfo. Ecco così che il film ruota attorno alle vicende del commando A-Team, composto da ex combattenti in Medio Oriente, appartenenti alle forze speciali dell’esercito Usa, accusati di un crimine che non hanno commesso.
Insieme fuggono dal carcere, decisi a scoprire e trovare chi li ha incastrati e scagionarsi dalle accuse.
Ma chi erano i protagonisti?
Il colonnello John “Hannibal” Smith, interpretato da George Peppard (1928-1994). Segni distintivi: impeccabile sorriso da chi la sa lunga, inconsumabile sigaro in bocca, soave capello bianco e guanti in pelle nera. È a capo della Squadra. E il suo motto è “”Adoro i piani ben riusciti”.
Sarà l’attore irlandese Liam Neeson a prendere l’dentità di Hannibal nel film A-Team.
Il tenente Templeton “Faceman” Peck, italianizzato in “Sberla”, interpretato da Dirk Benedict. Segni distintivi: instancabile dongiovanni, ciuffo sempre fonato, invidiabili giacche, mondanamente sempre inamidate. Niente di più lontano, insomma, che si possa concepire, dal concetto del “militare”; ma il suo charme da finto aristocratico è stato spesso un aiuto essenziale al piano.
La sua essenza da playboy avrà il volto di Bradley Cooper.
Il capitano H.M. “Howling Mad” Murdock, abbreviato in “H.M. Murdock”, interpretato da Dwight Schultz. Segni distintivi: eccelso pilota, dotato di una certa forma di stravagante pazzia: è ricoverato in una casa di cura, indossa un cappellino da yankee, ma soprattutto non è uno dei ricercati dell’A-Team.
Sarà Sharlto Copley, attore sudafricano, che vestirà i panni del folle pilota nel film A-Team.
E poi lui: il sergente Bosco Albert Baracus soprannominato P. E. Baracus (“pessimo elemento”; in lingua originale Bad Attitude “B. A. Baracus”), interpretato dal mitico Mr. T (Laurence Tureaud). Segni distintivi: impegnative catene e orecchini d’oro, salopette e giacchette smanicate di denim, carattere adorabilmente scontroso e cresta nera.
Toccherà a Quinton Jackson, famoso lottatore (come lo era Mr. T), soprannominato Rampage, vestire i pani di P.E.
A-Team ha saputo raccontare con simpatia coinvolgente le storie avventurose, che corrispondevano alla vita di questi veterani “senza piano B”. Tra sparatorie metropolitane, rocambolesche fughe, sceniche scazzottate, folli voli e pazzeschi atterraggi, questi eroi moderni, schierati in difesa dei deboli, con l’ inseparabile furgone GMC Vandura nero e grigio con 2 strisce rosse laterali, hanno catturato l’attenzione di milioni di spettatori, regalando, tra le altre cose, un coerente e appagante finale di serie.
Non resta che augurarsi che la versione cinematografica abbia la stessa carica suduttiva del telefilm.