Il 25 ottobre alle 20,30, nell’ambito della rassegna In.Off , il Teatro Goldoni di Venezia tributa un sincero e doveroso omaggio a un artista di cui stanno per ricorrere i dieci anni dalla morte: Giorgio Gaber, straordinario attore e musicista che è stato all’inizio degli anni Novanta direttore artistico del teatro veneziano . Andrea Scanzi terrà la lezione – spettacolo “Gaber se fosse Gaber”: qui spiega le ragioni dell’attualità dellì’opera e del pensiero del autore,.cantante e attore milanese.
Quando è nata l’idea di questa operazione teatrale?
_ “Merito della Fondazione Gaber. Tre anni fa presentai un loro incontro a Firenze. Ero l’elemento di raccordo tra Giulio Casale e Andrea Rivera, c’erano più di mille persone. Il pubblico parve molto colpito dalle mie parole. Poi, lo scorso febbraio, Voghera ha chiesto una serata-ricordo di Giorgio: la Fondazione ha chiamato me. Ho scritto un testo teatrale e ha avuto successo. Al punto da divenire, nel suo piccolo, uno spettacolo. Che attraversa l’Italia. Ogni data va meglio della precedente, con momenti di commozione e partecipazione che mi stordiscono”.
Com’è strutturato lo spettacolo?
_ “Gaber se fosse Gaber è tutto mio: testo, titolo e struttura – minima – teatrale. E’ una lezione-spettacolo. In 100 minuti cerco di raccontare il percorso di Giorgio, soprattutto (per non dire esclusivamente) quello del Teatro Canzone. La mia narrazione, che segue più o meno un ordine cronologico, si alterna con filmati editi e inediti che ritraggono Gaber, tratti dal repertorio della Fondazione che patrocina lo spettacolo. Sul palco ci sono solo io e ogni sera il testo subisce “timide variazioni e piccoli spostamenti del cuore” (per citare Giorgio). Il 55 percento sono filmati e il 45 percento coincide con i miei monologhi “divulgativi” – non senza riferimenti spigolosi all’attualità. Di solito non ci si annoia: non me lo perdonerei. Adoro essere sgradevole, a volte: era tipico anche di Gaber. Ma la noia no, quella è imperdonabile. Certi intellettuali, e certi tromboni dell’arte pensosa, dovrebbero prima o poi capirlo”.
Perchè continuare a parlare di Gaber-Luporini?
_ “Più che altro, perché non continuare a parlarne. A me pare che lo si ricordi poco e male. Ci si fossilizza sul Gaber televisivo dei Sessanta, per disinnescarlo, o lo si fraintende. Appropriandosene post-mortem, da destra come da sinistra. Ecco perché ho chiamato lo spettacolo Gaber se fosse Gaber: perché vorrei contribuire a riportarlo a casa, a far parlare “soltanto” le sue opere. Basta con queste appropriazioni indebite sciacallesche. Il “vero” Gaber, che non può essere scisso da Sandro Luporini, era quello del Teatro Canzone. Dal 1970 al 2000. Un continuo “buttare lì qualcosa per poi andare via”: un urticare e scorticare sistematicamente le coscienze. Lo vidi la prima volta nel ’91 all’Anfiteatro Fiesole, avevo 17 anni. Mi ha cambiato la vita. L’ho conosciuto e frequentato negli ultimi anni. Istantanee di cui serbo gelosamente ogni frammento”.
Esistono secondo te ideali testimoni del teatro canzone oggi?
“Gaber era unico, inimitabile e non riproducibile. Dava al testo l’ulteriore forza della sua presenza scenica. Il contenuto era contenitore, la forma sostanza. Come dico nello spettacolo, ci sono solo due modi per rifare oggi Gaber: o molto male, e in questo senso Morgan è una garanzia, o bene ma in maniera filologicamente aderentissima. Fin quasi alla “copia” (deliberata). Il caso di Giulio Casale, non per nulla uno dei più bravi espnenti del Teatro Canzone contemporaneo. In tanti ci provano, in pochi ci riescono”.
Dove risiede l’attualità di Gaber oggi?
“In ogni cosa che ha fatto. Nel coraggio incosciente e brutale, nell’individuare l’imbarbarimento – e l’inaridimento – dell’uomo, nella preveggenza, nell’accorgersi prima di quasi tutti come la sinistra stesse abiurando isuoi afflati libertari già nei Settanta. Nell’elevazione dell’invettiva vibrante a sontuosa cifra stilistica, nell’inseguire il dubbio e mai la certezza. Nel non essere manicheo bensì problematico. Nel non compiacere, casomai ferire (con motivo). Nel raccontare il quotidiano con cinica partecipazione. La grandezza di Gaber e Luporini è così evidente, e sconcertante, da risultare quasi eccessiva. Proprio come Pasolini, a cui entrambi si rifacevano non poco”.
Quanto è importante l’operazione di diffusione del suo pensiero e perché?
_ “E’ importante perché siamo smarriti, soli, senza memoria storica. Perché Gaber – a differenza di De André – non è stato né santificato né eternato, ma quasi disinnescato da un ricordo distratto e colpevole. Ha vissuto una carriera carbonara e particolarissima, nei teatri e lontano da tivù e studi discografici. Districarsi nella sua produzione è difficile, soprattutto per chi non lo ha mai visto sul palco. Scoprire Gaber è una fortuna che vorrei avere ancora, riscoprirlo è una gioia che non manco di regalarmi – e spero regalare – di continuo”.
Cosa hai imparato nella preparazione di questo spettacolo?
_ “Che nulla è più coinvolgente del contatto diretto con il pubblico. Proprio come ebbe modo di scoprire Gaber alla fine dei Sessanta. Faccio molte cose, dagli articoli alla tivù, dai libri ai convegni, ma l’emozione che dà il teatro non la dà nient’altro. Imparo ogni giorno, innamorandomi sempre più di questo teatro militante e di memoria”.
A cura di Elena Torre
dal sito [www.andrea scanzi.it->www.andrea scanzi.it]