Sono tornati, ma non come nell’esilarante fotomontaggio (Bin Laden circondato da quattro giovanotti con acconciature cotonatissime e chiodo d’ordinanza in pieno stile eighties) che fece il giro del mondo in internet all’indomani della psicosi-antrace che colpì gli Usa post 11 settembre 2001. Gli Anthrax, quelli veri, sono tornati, con Joey Belladonna al posto del barbuto sceicco. E sono tornati per fare sul serio.
Dopo una quindicina d’anni di alterne fortune con John Bush alla voce, si riforma la line up di maggior successo, quella con il già citato Belladonna (in forma smagliante), supportato dalle chitarre dei due fondatori della band, Dan Spitz e Scott Ian, dal basso del sempreverde Frank Bello e dalla batteria di Charlie Benante (ad arrivare al giro di boa dei quaranta e picchiare così duro sui tamburi da metterci la firma).
Quella che nella seconda metà degli anni ottanta contribuì in maniera fondamentale alla nascita del movimento denominato Thrash, a metà strada tra l’Heavy metal britannico e la brutalità dell’Hardcore statunitense, che ebbe nei Metallica e Megadeth i nomi di maggior successo.
Ma, a differenza dei seriosi mostri sacri appena nominati, gli Anthrax hanno sempre fatto dell’ironia e del divertimento i loro capisaldi. Si divertono ancora sul palco. E si diverte anche il pubblico, che percepisce il feeling superpositivo che i cinque musicisti emanano sin dalle prime battute.
C’è un mezzo migliaio di appassionati a stipare il New Age. Almeno i due terzi dei presenti ha i capelli lunghi, indossa le immancabili magliette nere di un pò tutte le band metal, e i più nostalgici addirittura i giubbotti jeans senza maniche e tappezzati di toppe di altrettanti gruppi (soooo eighties!!!).
Parte lo show con “Among the living” e inizia un pogo furiosissimo, contornato da numerosissimi crowdsurfing, stoppati dai tre energumeni posizionati sotto il palco. Si prosegue con “Metal trashing mad” e la spettacolare cover di “Got the time” di Joe Jackson (!). Il tutto a ritmiche serratissime e con la stessa precisione di vent’anni fa.
La scaletta prevede solamente brani registrati tra il 1985 ed il 1990, ed il pubblico gradisce molto. Bastano due note di intro per riconoscere le varie, mitiche “Antisocial”, “N.F.L.”, “I’m the man” o “A skeleton in the closet”, “A.I.R.” e “Caught in a Mosh” ed il copione è sempre lo stesso: qualche istante per applausi e/o fischi di approvazione, corna al cielo a profusione e poi si scatena il pogo sotto il palco, con ritorno delle corna a fine brano.
Tra un pezzo e l’altro, tanto per rifiatare, Belladonna si esibisce più volte in uno scimmiottamento dell’Italiano. Fa strano che, nonostante tre su cinque abbiano chiarissime origini italiane, nessuno dica una frase di senso compiuto nella nostra lingua. Mah, sti Americani…
Si riprende con un pugno di brani (“Be All”, “Medusa”, la anthemica “Indians” e “ I am the law”) che chiudono un set di un’oretta e mezza che lascia tutti i presenti soddisfatti. Tranne i crowdsurfisti, ovviamente, che non sono riusciti a raggiungere il palco nemmeno una volta.
Anthrax promossi a pieni voti.