Arte americana 1850-1960 al Mart

A Rovereto capolavori dalla Phillips Collection di Washington

Condizionato dalle sue origini europee, dalla cultura, modi di vestire, mentalità europei, l’uomo americano vive a lungo nella contraddizione fra suggestioni del vecchio continente e il desiderio, spesso inconscio, di liberarsene, per affermare l’”american way of life”.

Il progressivo spostamento della frontiera verso il west compie questa trasformazione. Sono le terre che attraversa, l’immensità di paesaggi vari e spettacolari, l’asperità di quei canyon, l’impetuosità dei fiumi e delle cascate che lo spingono sempre più a liberarsi dei complessi europei per riconoscersi appieno in questa nuova eccitante personalità. L’arte americana segue questa stessa evoluzione e se, nel suo nascere, ripercorre, rielabora, ripete i modi, gli stili le tecniche della pittura europea, in particolare di quella francese ed italiana, lo sganciamento da questa soggezione avviene lentamente proprio a partire dalla rappresentazione di questi spazi senza limiti di questi elementi della natura eccessivi e inimmaginabili nella loro bellezza e maestosità. I Church, gli Haede, I Remington, e gli altri artisti della Hudson Shool River, allargano gli orizzonti circoscritti dei paesaggisti europei, per esaltare, nella grandiosità anche fisica della rappresentazione, questi spazi senza fine. Quando gli stimoli di questa scuola sembrano esaurirsi, sono le fotografie di William Henry Jackson e le tele di Thomas Moran a rilanciare il genere del grandioso. E’ interessante, notare, come si debba proprio alle loro opere apprezzate e comprate dal Congresso americano la creazione del, primo parco nazionale degli Stati Uniti, nello Yelloston nel 1871.

Con le celebrazioni per il primo centenario nel 1876, invece, avviene la svolta che mette al centro dell’attenzione gli impressionisti americani, Mary Cassat, Thomas Eakin, Benson, fra gli altri, segnando la fine della pittura panoramica americana, significativamente relegata, in mostra, in una saletta appartata. Bisogna attendere però, Hopper, Pollock, Georgia O’ Keef, Stuart Davis, perché si affermi definitivamente l’originalità e l’autonomia dell’arte americana. Sono proprio questi artisti che dopo un inizio ancora ispirato ai vari simbolismi e surrealismi europei, riusciranno a fare di New York il nuovo centro internazionale dell’arte togliendo a Parigi il primato secolare.

Di questi interessanti passaggi ed evoluzioni vuole rendere conto la mostra inaugurata il 5 giugno al Mart di Rovereto visitabile fino al 12 di settembre. Con questa rassegna continua la collaborazione del Mart con la Phillips Collection di Washington, per diffondere una conoscenza più approfondita dell’arte americana nell’arco di tempo che va dalla seconda metà dell’800 ai primi anni sessanta del ‘900: dal romanticismo al realismo, dall’impressionismo fino all’espressionismo astratto.
Si inizia con la pittura “plain aire” di Maurice Prendezgast e di Childe Hassan, al realismo urbano di Robert Henri e George Luks. Entriamo nel XX secolo con il realismo eroico di Homer e l’astrazione romantica di Ryder, gli aspri paesaggi di Harold Weston. Tra le due guerre si fa largo l’indagine psicologica dell’angoscia del secolo passato: immortalando l’industializzazione americana con tutto il seguito del sindacalismo, della disoccupazione e dei sogni utopici degli imprenditori e degli operai. Particolarmente attenti a questi fenomeni sono John Marin e William Zorach. Chi indaga sulla transizione dalla vita rurale a quella industriale è Stefan Hirsch con una pennellata tra l’espressionismo e l’astrattismo.

Dopo la Prima guerra mondiale emerge con più evidenza la moderna identità artistica americana: August Vincent Tack dipinge decorazioni astratte basate sui ritmi essenziali della natura suffragata dal rapporto musica-pittura.
Anche il cubismo è accettato con Davies Kuhn, ma è più personalizzato e americanizzato con l’ispirazione di Miles Spencer e Karl Knaths. Giungiamo all’espressionismo astratto di Philip Guston che fonde il surrealismo europeo con forme di arte primitiva; così Doris Lee riesce incantare mescolando il folklore di stile europeo con l’arte precolombiana. Una tensione continua tra astrazione e figurazione la si avverte in Sam Francis e Richard Korn con l’uso immaginifico del colore. Il “fauve americano è impersonato in Milton Avery per le sue audaci sperimentazioni con il colore.
Incontriamo in più,al primo piano del museo, la sorpresa di una ulteriore mostra nelle tele appartenenti alla raccolta di Gianfranco Bellora che aveva posto il suo centro culturale in via Borgonuovo nello storico quartiere Brera di Milano.

Gli artisti lanciati da Belloria hanno in comune la contaminazione tra parole e immagine, l’uso del collage e del fotomontaggio come strumenti espressivi, il rapporto tra segno grafico e verbale, tra lingua e scrittura. Tutte sperimentazioni che richiamano il nouveau réalisme, il fluxus, l’arte concettuale, la nuova figurazione e la mec-art. Sono presenti i quadri di Emilio Isgrò, Eugenio Miccini, Sarenco e Freno Vaccari, i quali nel novembre 1971 inaugurano la poesia verbovisuale; come Gianni Bertini, Bruno di Bella, Elio Mariani fanno nascere negli anni sessanta la “nuova figurazione o Mec Art” che si fonda sull’utilizzo della fotografia riportata su tela in modo ripetitivo o seriale. In queste tele si conferisce un significato rinnovato grazie a accostamenti insoliti o fotomontaggi carichi di violenza socio-politica e di denuncia. Originali pure le tele di Alessandro Algardi, monocrome con scritte illegibili, lasciate alla capacità immaginifica del fruitore. “La poesia visiva” è rappresentata dai quadri di Sarenco e Lucia Marcucci: una commistione di convenzioni iconografiche con elementi verbali e visivi saccheggiati dalla contemporaneità politico-ideologica. E’ presente pure la pittura analitica di Marcheggiani, Guarnieri e Aricò che è rivolta ai valori della luce e del colore. Tutti autori tesi a ‘proporre nuove vie sperimentali nell’universo fluttuante dell‘arte.

Un’ulteriore novità (che fa parte della ricerca del direttivo del Mart sulla pittura delle giovani generazioni “young in the future”) ci è data con l’esposizione dei quadri della canadese Sara Landau. I suoi ritratti di grandi volti di donna che rimandano allo star system globale e alla tradizione figurativa americana del secondo dopoguerra, il photographic realism. La pittrice recupera principii propri della Pop Art immettendo nei volti e soprattutto negli sguardi il dramma, la superficialità, il benessere, l’esibizionismo idolalatra, la precarietà strutturale della società contemporanea.

Mart, Rovereto
5 giugno 2010 – 12 settembre 2010
A cura di Susan Behrends Frank con la collaborazione di Elisabetta Barisoni e la direzione scientifica di Gabriella Belli