“Mille violini suonati dal vento l’ultimo abbraccio mia amata bambina, nel tenue ricordo di una pioggia d’argento, il senso spietato di un non ritorno”. Cantava così Carmen Consoli nella canzone “L’ultimo bacio” colonna sonora dell’omonimo film di Gabriele Muccino.
L’ultimo bacio raccontava, con consapevolezza, le storie di quelli che partono e di quelli che restano, delle crisi che vanno e di quelle che vengono.
Sembra incredibile che siano passati già quasi dieci anni, da quel film (e dai suoi cinque David di Donatello, tre Nastri d’Argento, un Ciak d’Oro e da un Premio del Pubblico al Sundance Festival) che aveva disegnato una generazione, quella dei quasi trentenni.
E l’aveva raffigurata, quella generazione, con tinte forti e pennellate decise, senza indugio, chiaro o scuro.
L’ultimo bacio è un cult, piaccia o non piaccia, c’è poco da fare o da dire che sia scontato o banale.
L’ultimo bacio era la storia di Carlo e Giulia (Stefano Accorsi e Giovanna Mezzogiorno), che avevano appena scoperto di aspettare una bambina. Era la storia di Anna (Stefania Sandrelli), la madre di Giulia, e della sua crisi dei trent’anni più venti. Era la storia di Alberto e Livia (Giorgio Pasotti e Sabrina Impacciatore), neo genitori di Matteo, uno esasperato e pessimista l’altra assillante. Era la storia di Paolo (Claudio Santamaria) della sua ricerca del senso della vita e di chi nello stesso posto -tutta la vita- non ci voleva restare. Ed era la storia di Alberto (Marco Cocci) che sognava di lavorare per Greenpeace, ma si era ridotto a copiare dvd pirata.
Era la storia di Marco (Pierfrancesco Favino) e di Veronica (Daniela Piazza) che erano convolati a nozze.
Ed era anche la storia di Francesca (una giovanissima Martina Stella), liceale affascinante che faceva entrare in crisi Carlo. Era il film sulla paura delle responsabilità, sulla paura di crescere. Muccino raccontava tutto questo con un sarcasmo razionale e piacevole.
Era il 2001, iniziavano ad affermarsi giovani attori italiani che nel corso di questi anni hanno avuto qualcosa da esprimere e continuano a farlo con fascino. Erano gli anni della love story tra Stefano Accorsi e Giovanna Mezzogiorno, che si erano lasciati, e rimessi insieme poco prima delle riprese del film. E noi sognavamo tramite loro, giovani e belli, sul grande schermo e sulle pagine patinate.
Marco Cocci spopolava con i suoi lunghi capelli rasta e il viso angelico di Giorgio Pasotti colpiva il cuore di giovani fan. Sabrina Impacciatore si faceva conoscere come attrice e si capiva perfettamente che Pierfrancesco Favino e Claudio Santamaria avrebbero fatto strada.
Muccino aveva saputo dirigerli con dinamicità, lasciandoli esprimere con quella leggiadra e inconsapevole maestria.
Quando ci si “innamora” di un film e dei suoi personaggi, ci si crea, inevitabilmente, un altro film personale sull’evoluzione delle loro storie, delle loro azioni. È un momento comune a tanti, che serve a fantasticare e riconoscere, soprattutto, i romantici inguaribili e i cinici irriducibili.
L’idea di rivederli a distanza di dieci anni, nel seguito di quel film che ho amato, in modo particolare, era elettrizzante. Avevo una grande curiosità, mista al piccolo dispiacere che Giovanna Mezzogiorno non avesse preso parte al sequel, sostituita da Vittoria Puccini. Ma sono solo piccoli crucci da fan. Avevo la curiosità di sapere che fine avessero fatto quei trentenni con le loro prospettive, ansie, gioie, paranoie. C’era la voglia di scoprire su quale via fossero, se su quella del ritorno o ancora della fuga, verso la ricerca del senso della vita.
Baciami ancora ci svela a che punto del viaggio sono arrivati i protagonisti de L’ultimo bacio. Li ritroviamo quasi tutti. A loro si sono uniti Simone (Adriano Giannini) e Adele (Valeria Bruni Tedeschi). Dieci anni dopo. Manca l’acqua nella cascata. E sono alle prese con un’idea di vita che non ha combaciato con le aspettative originarie.
Carlo e Giulia sono separati, confuso l’uno e finto determinata l’altra. Marco e Veronica sono in crisi tra frustrazione e infelicità. Paolo, sempre più fragile, cerca di attaccare i pezzi della sua vita. Livia è una madre single. Adriano rientra dopo dieci anni in Italia, frastornato dai sensi di colpa. Alberto non vuole gettare la spugna e rassegnarsi alle convenzioni.
Continuano a essere alla ricerca di ciò che vogliono, o alla ricerca di qualcosa da volere. Come nell’ Ultimo bacio è la voce di Carlo/Accorsi, che, fuoricampo, racconta, come in un diario pop, cosa è successo e cosa accade.
Malinconia. Baciami ancora fa provare questo sentimento. Malinconia. Baciami ancora è una storia che ha delle ottime premesse, ma non riesce a rilanciarle. Malinconia. Baciami ancora non ha il coraggio impavido e baldanzoso del suo predecessore nè una dimensione registica esplorativa. Malinconia. Baciami ancora tratteggia dei ruoli femminili al limite del fastidioso.
Ho visto Baciami ancora e non me ne sono pentita, la curiosità vince su tutto e sempre.
Mi ha lasciata attonita il finale. Presuntuosamente lo avrei fatto finire circa un quarto d’ora prima, per ridare a Baciami ancora quell’esuberanza e freschezza di ignoto che ha il futuro. Ecco, se mi è consentito fantasticare, l’ultima immagine, che vorrei conservare di questi neo quarantenni, è quella di loro seduti su un muretto, in attesa di rimettersi in viaggio.
“Tutto il resto è un rumore lontano una stella che esplode ai confini del cielo. Coincidenze, destino, un gigante, un bambino che gioca con l’arco e le frecce, che colpisce e poi scappa, un tesoro, una mappa, l’amore che detta ogni legge, per provare a vedere che c’è laggiù in fondo dove sembra impossibile stare da soli, a guardarsi negli occhi, a riempire gli specchi con i nostri riflessi.” Canta così Lorenzo – Jovanotti – Cherubini nella sua canzone Baciami ancora, colonna sonora dell’omonimo film di Muccino.