Storie che si intrecciano, crescendo parallele, vite vicine eppure distanti, agli antipodi: McEwan, tra i più noti e dotati romanzieri inglesi dell’ultima generazione, conosciuto per la capacità di sondare il lato oscuro dell’essere umano, con una scrittura spesso morbosa e inquietante, regala ai lettori un romanzo intriso di malinconica nostalgia per il miglior tempo perduto
Il primo a farsi conoscere è Stephen Lewis, noto scrittore per l’infanzia, che di una banale casualità (un romanzo sfuggitogli di mano e trasformatosi in un racconto per bambini) è riuscito a fare una professione di vita, remunerata, di successo; Stephen avrebbe tutto ciò che si potrebbe desiderare (fama, una bella moglie, una splendida bambina), ma un evento devastante irrompe nella storia, macchia nera ed indelebile capace di rovinare l’intera scena: Kate, la figlioletta, due anni appena, viene rapita in una fredda mattina di sole, al supermarket, dove ha appena concluso un eccitante viaggio tra i corridoi stipati di merci e persone.
L’altro, alter ego di Stephen, nonché uno dei suoi migliori amici, è Charles Darke: prima editore di successo, poi politico di successo, infine bambino di successo (ma con finale a sorpresa e molto, molto adulto), in una ricerca sfrenata di innocenza, libertà, purezza perdute negli anni, non più barattabili con la vita adulta. Vicino a loro, spesso, invece, altrove, ex mogli, amici, colleghi, a contatto più o meno diretto con quest’età della vita ritenuta mitica, magica, in un’atmosfera perennemente dimessa, dove i sentimenti non sono mai di gioia, le parole mai di amore, la semplicità una merce rara: schemi su schemi si sovrappongo gli uni agli altri, si sedimentano, fino a diventare muri capaci di impedire qualunque forma di comunicazione.
L’impressione che si ha leggendo questo libro, già solo a metà, è che il titolo calzi a pennello: ci sono bambini ovunque, anche quando non fisicamente presenti: c’è Kate, ma non c’è, essendo scomparsa, deus ex machina dello sfacelo psico-fisico di Stephen, della rottura del suo matrimonio; ci sono i piccoli lettori dello scrittore; c’è la mendicante incontrata per strada, tanto simile alla scomparsa; c’è la regressione di Charles, fuggito dalla città per vivere una seconda, folle infanzia; ci sono i protagonisti della commissione governativa per l’infanzia di cui Stephen fa parte, così come del finto testo redatto in gran segreto dal governo, dove dell’educazione rimane solo l’aspetto repressivo, rigido; c’è Stephen, che, in un momento di pura allucinazione, incontra i suoi giovani genitori, ancora prima di essere concepito.
“Bambini nel tempo” assume le forme di una toccante apologia, un’indagine accurata e approfondita non tanto dell’infanzia, quanto dell’età adulta, che con l’altra si trova a fare i conti: siamo noi, “maturi”, ad osservare curiosi i bambini come esseri strani, a volerne carpire i segreti, la leggerezza, l’ironia involontaria; due mondi che si incrociano quotidianamente, che pure possono non incontrarsi mai, una storia d’amore in cui le lingue parlate sono almeno due, se non di più. McEwan è bravissimo nel descriverci sviluppi e inviluppi dei vari personaggi, nel coglierne le sfumature di pensiero, i limiti caratteriali e umani, le difficoltà, in un paesaggio dove i “grandi” finiscono per mostrarsi carichi di tutto, eppure fragili, instabili, soli. Come bambini.
I. McEwan, Bambini nel tempo,Torino, Einaudi, 1992, pp.229, €9.00