“BRUCIATA VIVA” DI Suad

Non si può dimenticare una seconda pelle di schiava

Suad: uno pseudonimo per tutelare una donna coraggiosa, decisa a testimoniare la sua disgrazia nel tentativo di spingere chi subisce la schiavitù ad aver la forza di ribellarsi e a guardare verso un futuro che potrebbe essere migliore.

Nel 2006 sembra impensabile che in un piccolo villaggio nascere donna sia considerata una maledizione; invece ancora oggi, in un secolo in cui si professa la parità dei diritti e l’emancipazione femminile, esistono popoli che trattano le bestie meglio delle loro mogli, figlie e madri.
L’autrice tramanda la sua realtà: un passato di soprusi che l’ha costretta a condurre un’infanzia di terrore ed ignoranza, vittima di un codice di usi e consuetudini che vede l’uomo come padrone di tutto ciò che è tra le sue mura domestiche.

La casa è una prigione in cui si è costrette a condurre una vita di stenti, privazioni, umiliazioni e violenze; non una vita, ma una sopravvivenza in cui ogni notte, prima di addormentarsi, la donna si meraviglia di aver superato un’altra giornata e, pregando il suo Dio, chiede che il proprio corpo riesca a non piegarsi alle tante percosse che l’attenderanno il giorno dopo.
Come si può condurre un’esistenza nel terrore e nella speranza che il marito-padrone sia meno violento del proprio padre?

In questo minuscolo villaggio della Cisgiordania la legge degli uomini domina incontrastata, rendendo normali ed usuali atti disumani quali frustare, deturpare, violentare, legare, bastonare, lapidare, bruciare ed assassinare neonate.
L’autrice spiega quanto sia penoso per lei affrontare i ricordi, ma anche quanto sia importante fare il possibile per aiutare chi non è stata parimenti fortunata:
‹‹Vorrei dimenticare, ma siamo così in poche ad essere sopravvissute e a poter parlare che ho il dovere di testimoniare e di rivivere quegli incubi.››

Suan racconta in prima persona la sua infanzia, trascorsa in una famiglia che le ha insegnato solo a lavorare come una schiava; a servire gli uomini; a camminare velocemente senza mai alzare lo sguardo dal suolo; a sperare di sposarsi prima di aver compiuto quattordici anni per non essere derisa; ad insultare chi ha la nomina di “charmuta”, ovvero qualunque ragazza che si sia permessa di incontrare con lo sguardo un uomo o sia stata vista sola su un sentiero, senza la compagnia di una familiare od anche di una pecora.
‹‹E’ strano il destino delle donne arabe, almeno nel mio villaggio. Lo si accetta con semplicità, senza ribellarsi. Non sappiamo nemmeno che cosa sia la ribellione. Sappiamo piangere, nasconderci e mentire quando serve a evitare il bastone, ma non ci ribelliamo mai. Semplicemente perché non c’è un altro posto dove vivere se non a casa del padre o del marito. Vivere sole è inconcepibile.››

L’autrice è stata vittima di un delitto d’onore: innamorata di un giovane con cui poteva comunicare solo con gli sguardi, sedotta da lui e concessasi nel terrore di un abbandono, quando è stata scoperta incinta, è stata dallo stesso amante ritenuta colpevole, abbandonata e condannata alla dura legge degli uomini del suo villaggio, quindi bruciata viva dai suoi familiari.
Suan si è salvata grazie all’intervento di Surgir, un’organizzazione umanitaria che l’ha curata e l’ha portata in Europa, permettendole di iniziare un’altra vita sulla base di nuovi principi e libertà.
Surgir è una fondazione svizzera che interviene in aiuto di tutte le donne ed i bambini, vittime di violenze e tradizioni criminose. (www.surgir.ch)
In qualche parte del mondo in questo momento ci sono donne costrette inconsapevolmente a vivere come schiave….Quanto ancora si dovrà patire e lottare per veder riconosciuti a tutti i diritti insindacabili?

Suad, Bruciata viva, Casale Monferrato (AL), Edizioni Piemme, 2006, 249 pp., 14,90 €