Chi è quell’omino pallido e magnetico in maniche di camicia sul palco? Sotto la luce dei riflettori, dietro l’asta di un microfono, nient’altro sulla scena, si materializza tra gli applausi scroscianti un raro esemplare di mente libera, non allineata, nonché oggetto ultimo di “rimozione” televisiva; per molti, quindi, visto l’esilio catodico, un non personaggio. Ma per l’affezionato pubblico dei suoi spettacoli, Daniele Luttazzi è atteso come le rondini a primavera, una ventata d’aria fresca non priva però di effetti collaterali.
Due ore filate, frenetiche, spiazzanti e irriverenti. Niente è tabù; il comico di Santarcangelo di Romagna parla con la stessa disinvoltura delle ingerenze papali come dei piaceri della fellatio, della “paraculaggine” di Pippo Baudo come dei segreti dell’autoerotismo. Pregiudizi e preconcetti hanno vita breve sul palco con Luttazzi, e in men che non si dica una battuta feroce scardina decenni di vuote consuetudini e di pacifici opportunismi. Il pubblico si diverte, ride come probabilmente non gli capitava da un pezzo e, dopo pochi minuti, pende dalle labbra dell’impertinente ospite, compiacendosi probabilmente anche un po’ per la scelta anticonvenzionale di andare a sentire il fulminante Daniele. Ma lo spettacolo è imprevedibile e libero come il suo autore, e forse per qualcuno alcune risate si fanno più amare del previsto.
“Barracuda 2007”, versione aggiornata e riveduta del monologo del ’99, è diviso in due parti: la prima, scintillante e pirotecnica, vive di trivialità e satira di costume, ridicolizzando atteggiamenti sessuali e funzioni corporali in un esilarante crescendo scatologico-genitale. La seconda, altrettanto tonica e frenetica, rivela l’urgenza civile implicita e necessaria per chi nel potere della satira, lucida, corrosiva e graffiante, crede veramente. Così, se nella prima parte la comicità, pur sempre intelligente, sempre sopra le righe e mai “volgare” (lo è chi non rispetta il proprio pubblico), tocca argomenti più generali e categorie più ampie – come i rapporti uomo-donna –, nella seconda il bersaglio diventa la classe dirigente, politica e non; l’elite che detiene il potere e lo esercita per conservare la propira posizione, al di là di considerazioni morali o etiche.
Ed è qui che si sente la necessità vibrante di Luttazzi, attraverso lo strumento essenziale della satira, di farsi portatore di una realtà diversa, di cercare di fornire una versione alternativa alla banale, e parziale, linearità dei fatti che troppo spesso viene offerta dai media, senza molte alternative, agli italiani. Ed è allo stesso tempo qui che, forse, anche il pubblico – abituato a punti di riferimento convenzionali – resta per un attimo spiazzato e vacilla. Non ci sono bandiere dietro il monologo di Luttazzi, solo la volontà di colpire l’indifferenza, il qualunquismo e l’opportunismo, “qualità” purtroppo piuttosto diffuse, e insieme smascherare l’abitudine di alcuni personaggi a porsi al di sopra degli altri. Così sotto alle “leggi vergogna” e ad personam del governo Berlusconi, sotto agli “approfittatori” televisivi – dal già citato Baudo all’”immacolato” Fabio Fazio –, sotto alle manchevolezze dell’attuale governo molto di “centro” e poco di “sinistra”. Si ride, meno rispetto alla prima parte; si riflette, più della media giornaliera. Qualcuno potrebbe anche irritarsi e stizzirsi, pensare: “No, almeno Fazio no!”. E se così fosse, Luttazzi avrebbe fatto centro di nuovo.