La crisi economica aggravata da un dilagare di immoralità politica spinge, chi vuole sollevarsi dalla meschinità e dal qualunquismo, a rifugiarsi nell’arte confidando nel suo conclamato valore catartico.
Ecco quindi una platea attenta e interessata riempire gli scomodi gradini del Teatro Alle Tese per seguire lo spettacolo El policia de las ratas in senso lato traducibile con “Il poliziotto delle fogne” di Alex Rigola. Non si tratta di un topo metaforico ma di un enorme ratto risalito dal putridume della città per raccontarsi e accendere almeno una volta i riflettori su di sé. Vuole veder la luce, il sole, aspirare il profumo dei fiori, ma soprattutto, vuole cercare amore.
Senza troppo insistere su una storia del tutto preoccupata fuorchè di fornire antefatti, sviluppi, seguiamo il proptagonista, di nero vestito, monacale, austero, senza mai l’ombra di un sorriso che si fa cantore degli ultimi, dei diseredati, di coloro che non esistono, che camminano rasentando i muri consci che debbono lasciare spazio ai visibili, a chi può vantare un primato sia esso fatto di soldi, di onori, di cariche pubbliche, di bellezza fisica o magari di medaglie, anche solo di bronzo, purchè olimpiche o mondiali.
Quanta fatica per raggiungere il podio, quante vasche nell’acqua che sa di cloroformio, quanta polvere rossa sollevata nelle piste, intrisa di sudori e lacrime. Se poi, finalmente si conquista il podio, dopo aver gustato per un poco titoli in prima pagina, comparsate in televisione, allo spuntare di un altro astro, sempre più giovane e imbottito di energetici che si spera siano senza effetti collaterali, lo si deve cedere e rassegnarsi e finire nel dimenticatoio.
E’ su questo che El policia de las ratas vuole fare riflettere, ma al termine della performance è come se un odore sgradevole continuasse a pesare nell’aria mentre ci si chiede se fosse proprio necesssario ricorrere ad un essere così disgustoso per denunciare il clima di sopraffazione. Quale persona normale si augura che in futuro queste bestie abbiano la stessa considerazione di cani, gatti e simili? Perchè ospitare nelle biennali opere che anziché fare progredire l’arte la vogliono umiliare relegando il bello, il sublime, in concetti da piccola borghesia ormai superati? È proprio necessario riuscire sgradevoli per essere moderni e democraticamente aperti?
Chi vuole passare per intenditore riuscirà senza dubbio a sommergere sotto metafore, allusioni, simbolismi, la ripugnanza di fondo, di certo confessando solo a se stessi il sollievo provato una volta usciti. Può dirsi soddisfatto l’autore nel sapere che molti degli spettatori sperano di cancellare dalla loro memoria El policia de las ratas augurandosi di non sentirne più parlare? Risultano quindi ancora più ammirevoli i bravi interpreti che hanno messo i loro talenti al servizio di questa opera, nobilitandola.