40. Biennale del Teatro

Riflessioni conclusive sulla rassegna diretta da Maurizio Scaparro

L’attentato dell’11 settembre del 2001 che ha travolto le torri gemelle di New York ha provocato una serie di reazioni a catena di dimensioni planetarie. Fra queste una delle più gravi è stato l’inasprimento dei rapporti fra il mondo Occidentale e quello Arabo-islamico. Il cammino intrapreso dopo la caduta del muro di Berlino per avvicinare questi due mondi si è bruscamente interrotto e sotto il trauma per questo evento e per i successivi atti terroristici a danno di capitali europee, si è rimasti per un po’ paralizzati. Le Nazioni più aperte, i governi più abili e lungimiranti hanno capito che a nessuno conveniva quello scontro fra civiltà preannunciato dal recentemente scomparso Samuel Hungtinton e che la strada migliore da seguire era quella dell’integrazione, dell’accettazione delle reciproche culture e diversità. I governi più conservatori e meno avveduti percorrono la strada opposta, contrapponendo ad una cultura ideologizzata e assurta ad ideologia nazionale, la propria opposta ideologia e cultura. Il Mediterraneo sta in mezzo a queste due culture contrapposte con la sponda meridionale per lo più araba e islamizzata che preme verso quella opposta sperandone aiuto. Ciò che spesso non riescono a fare i politici, può riuscire ad uomini volonterosi che, con strumenti diversi, la fede, l’amore verso l’altro, la condivisione o la cultura cercano di rivedere i luoghi comuni, di opporsi alle paure creando iniziative, progetti, che facciano riaffiorare i legami comuni alle due sponde.

Si inserisce in questa prospettiva la rassegna voluta da Scaparro nell’ambito della Biennale Teatro dal titolo appunto, di Mediterraneo. La rassegna ha presentato una ventina di spettacoli teatrali, un Laboratorio Internazionale del Teatro ed un convegno internazionale sul Mediterraneo. L’intento è unico: incontrarsi, capire, ripensare i rapporti, fare proposte concrete per elaborare una cultura intermediterranea alternativa. I testi teatrali presentati in varie sale sia di Venezia che di Mestre parlavano di immigrazione ( Bladi mon Pays di Riss Roulke che narra di Ulisse e le sue donne aventi tutte, siano esse Penelope, Circe, Calipso, alla fine lo stesso volto al di là di ogni differenza), di guerra ( Morso di luna nuova di Erri De Luca che mette in scena la Napoli gloriosa delle cinque giornate dal 27 al 30 settembre 43 quando una popolazione fiera e ansiosa di libertà riesce a scacciare il tedesco invasore aprendo la via agli alleati anglo-americani). Si è pescato nel repertorio classico con l’Otello di Roberto Cuppone o l’Antigone rivisitata da Massimo Munaro, riproponendo riflessioni sulle conseguenze catastrofiche a cui può portare la disvelazione dei recessi dell’animo e le conseguenze a cui può portare il coraggio( spesso sbagliato) di essere se stessi.
Il Ciclope di Euripide risulta alquanto interessante specie per la sua presentazione in una creazione macaronica di Enzo Siciliano ( nel tradurre Euripide egli ha infatti usato un italiano che riassumeva l’intera koiné linguistica della Magna Grecia).
Sono approdati a Venezia i bambini di Nero Inferno del gruppo Ponte Radio di Ravenna guidati da Alessandro Taddei e Enrico Carovita. Esso fa parte una trilogia “quasi dantesca, sicuramente salvifica” come precisa il sottotitolo dell’opera che ha coinvolto un gruppo di ragazzi dai 7 ai 13 anni: attraverso il disegno ad acquerello e la pittura i pannelli da loro dipinti raccontano un viaggio ove acqua, mare diventano miraggi, il vento soffia e le poche braccia che accolgono rifugi di salvezza.
Oscillante fra la cronaca attuale e gli antagonismi sociali la rassegna fa dire all’Argelino servidor de dos amos, tratto dall’Arlecchino servitore di due padroni con una drammaturgia di Alberto San Juan, disperato nella vana ricerca di un lavoro e di cibo. Mediterraneo, mare nostrum, mare de nissun, cimitero de tuti” mentre il Ploutos da Aristofane, riscritto da Ricci Forte ripropone le tematiche sociali in un conteso romanesco tentando, a tratti con successo, di mostrare l’attualità del pensiero del grande commediografo a più di due millenni di distanza.
Il regista Stefano Pagin, affida all’Orlando di Virginia Woolf il compito di attraversare quattro secoli di storia inglese fra regnati e zingari, Londra e Costantinopoli in un carosello di sogni, amori, erotismi, viaggi, con richiamo al mito dell’eroe e lampi di ironia.

La molteplicità dei temi trattati, il ventaglio di personaggi, poetiche, messaggi ha fatto spesso superare in un giudizio conclusivo della rassegna, l’inevitabile disomogeneità per qualità, livelli interpretativi, forza etica, aderenza al tema; tutti, però, animati dal generoso impegno di fare, costruire, proporre, pacificare attraverso performances ora di impianto tradizionale, altre più audaci e aperte ai nuovi linguaggi espressivi.

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