“Boris 2”

Come ti distruggo la fiction

Siamo sul set degli Occhi del Cuore (giunto come Boris alla sua seconda edizione), davanti alla troupe sgangherata di una soap brutta “da contratto”.
Tra gli intrighi di bassa lega propinati al pubblico si materializza lo spettacolo del backstage: ruvido e rattoppato, menefreghista e spassosissimo.

Prodotta da Wilder per Fox Channels Italy (per la prima volta un gruppo satellitare produce una fiction di lunga serialità), nata da un soggetto di Luca Manzi e Carlo Mazzotta, Boris è sceneggiata da Mattia Torre, Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, che della serie è anche regista.
Introdotta dalla sigla di Elio e le Storie tese, Boris spiega come distruggere le fiction e dormire sonni tranquilli.

Nel romanesco allestimento di una soap-opera di infima categoria,
Boris il pesce rosso, dalla sua boccia vicino al regista, assiste al quotidiano sfacelo dell’idea di recitazione, sceneggiatura, fotografia e deontologia professionale.
La panoramica di stereotipi è presa in giro con la tipica coscienza comica e il rustico ma efficace disincanto capitolino.
Il pressapochismo tipico delle produzioni all’italiana viene perfettamente stigmatizzato con battute e messe in scene che ben rendono l’idea di quel clima così vago che forse aleggia nelle produzioni made in Italy.
Il delegato di rete, Lopez (Antonio Catania) cialtrone e attento alle gerarchie, il produttore Sergio (Alberto di Stasio) sempre attento a non scontentare mai nessuno tra i potenti (“no, non lo puoi cacciare.. quello è protettissimo..lobby gay”).

Il direttore della fotografia Duccio (Ninni Bruschetta), (che durante una strepitosa puntata cerca di vendere saraghi ai suoi colleghi), sonnecchia sui divani e parla un siciliano rarefatto (nell’ultima puntata, clou del magnamagna post elettorale:
“Ma René vuoi che chiamo lo zio corrotto?”)…

Biascica (Paolo Calabresi) il capo elettricista che accetta solo collaboratori di provata fede giallorossa, che va in terapia perchè non riesce più a salire sulle scale del set (salvo poi scoprire che la psicoanalisi non serve a niente. Guarisce miracolosamente con il pagamento degli “straordinari de aprile de Libeccio“)

L’unica che lavora, nel senso più banale del termine, è Arianna (Caterina Guzzanti), l’assistente alla regia (“dai che oggi ci portiamo a casa 8′ minuti di girato, René”) scontrosa, dura, gran stakanovista.

E i due stagisti: quello muto è perfetto. Pignolo, rompiscatole, lecchino.
Gli fanno una di quelle corcate da passare agli annali. La sua vessazione e il suo momentaneo successo professionale (deve controllare i fuochi) non potevano che culminare in un agguato di calci e schiaffi.
Lo sfruttato Alessandro (Alessandro Tiberi, detto Seppia o Seppiolina da quello psicopatico di Stanis La Rochelle) che infonde negli Occhi del Cuore la passione del nuovo arrivato e lotta per l’amore di Arianna.

Lo slang è parte integrante di Boris, soprattutto nella sboccata, sanguigna Karim, le cosce di Occhi del Cuore: “Renè questi se vede subito che se vojono acchiappa'”.

Su tutte le abili performance spicca Renè Ferretti (Francesco Pannofino) il regista, istrionico al punto giusto (sono da sbellicarsi i suoi cambiamenti di mimica) con una voce da doppiaggio modellata per tenere a bada le schizofrenie, le crisi dei divetti della soap e per districarsi tra le mille insidie della produzione e dei raccomandati.

Gli attori delle soap si dividono in La Cagna (che ha odiosamente tenuto in ostaggio il cast nella prima stagione. Carolina Crescentini che aspira tutte le vocali finali, esagerando come si conviene, il suo personaggio da inetta attricetta),
Il divo, Stanis La Rochelle (Pietro Sermonti) che sa regalare sguardi basiti come fosse un juke box. E viene regolarmente preso per i fondelli da tutta la troupe (i suoi respiri profondi e la sua spocchia per i suoi ruoli teatrali),
La new entry, Cristina Avola Burkstaller (Eugenia Costantini) che si pone domande sulle battute della sceneggiatura (!).
Non si è mai visto che un attore di soap si interroghi sul significato dei dialoghi o sul perchè delle azioni…

Ma quello che sconvolge di più in questa seconda serie, è l’entrata di Mariano Giusti che imperversa con le sue visioni di Gesù di Nazareth avute su un tratto oscuro della Roma-L’Aquila.
Corrado Guzzanti ci offre una delle sue interpretazioni sempre al limite dell’overacting. Si trasforma in un attore che spera nel ruolo di Padre Frediani, già allontatano dal cast perchè aveva messo fuoco all’intera produzione.
Mariano tiene in ostaggio Alessando, lo stagista, minaccinadolo con una mazza da baseball e costringendolo a cantare cori e inducendolo a pregare. Supplicandolo di non picchiarlo.

C’è tutto in Boris: la presa in giro delle fiction agiografiche e storiche, fatte male e vendute peggio (l’ossessione per il Beato Frediani, la tegola di Macchiavelli), la presa in giro dei rapporti di potere (geniale ambientare l’ultima puntata il giorno delle elezioni. A seconda di come vanno gli exit poll c’è gente da piazzare, gente scomoda da togliere..Iniziano le sfilate di raccomandazioni. “Oh con quella ci siamo fatti contenti d-u-e senatori”).
Il miracolo del pareggio fa sì che René possa restare in comando, perchè bipartisan, perchè se si tratta di satireggiare non si fa indietro dinanzi a nessun colore.
Ecco perchè Boris è una fuori serie: si diverte, ci diverte, si sollazza a mettere in scena le piccolezze e le bassezze delle piccole produzioni senza nessuna spina dorsale (L’immagine degli sceneggiatori al lavoro è degna dei Simpons o dei Griffin: tre svogliatissimi ma seriosissimi scrittori che suonano la chitarra o compongono le scene con il casco del motorino in testa pronti per uscire…).
A questo proposito le ammissioni di candida consapevolezza del produttore e del regista giocano splendidamente al gioco del finto massacro (“ma che ne so’, a noi c’arriva ‘sta carta straccia e poi giramo..”).
I clichè ci sono tutti: ma sono smontati e svuotati, resi acidi e sarcastici e fotografano abilmente tutti i tic più beceri del mondo della televisione… tutti gli orribili compromessi accettati per rimanere a galla.

Esplicite le citazioni e i rimandi ad altre fiction di successo; quasi tutti gli attori della serie si sono già misurati con il genere, (Carabinieri e Distretto di polizia, Un medico in famiglia e Ris).
Ed è proprio con i luoghi comuni della fiction che Boris si diverte, smascherandone i meccanismi con sana cattiveria.
E nella seconda stagione (nell’episodio in cui Renè cerca disperatamente un appiglio per non sprofondare con il progetto Machiavelli) Boris lancia una citazione a 24: schermo diviso in quadranti, facce preoccupatissime, il ticchettio dell’orologio a scandire l’inesorabile scorrere del tempo…

La frase:
René: «Alfredo, la scena è molto semplice: basito lui, basita lei, macchina da presa fissa, luce un po’ smarmellata e daje tutti quanti»
(episodio 1×08)

Titolo: Boris – La fuori serie italiana
Anno:2007 – in corso
Soggetto: Luca Manzi e Carlo Mazzotta
Sceneggiatura: Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo
Interpreti e personaggi
Ninni Bruschetta: Duccio Patanè; Paolo Calabresi: Augusto Biascica; Antonio Catania: Diego Lopez; Carlo De Ruggeri: Lorenzo; Alberto Di Stasio: Sergio Fortin; Roberta Fiorentini: Itala; Caterina Guzzanti: Arianna Dell’Arti; Francesco Pannofino: René Ferretti; Pietro Sermonti: Stanis La Rochelle; Alessandro Tiberi: Alessandro; Carolina Crescentini: Corinna Negri (Stagione 1); Eugenia Costantini: Cristina Avola Burkstaller (Stagione 2); Karin Proia: Karin (Stagione 2)
Fotografia:Daniele Poli
Montaggio:Massimiliano Feresin
Musiche: Giuliano Taviani e Carmelo Travia
Scenografia:Michele Modaferri
Costumi: Fiorenza Cipollone
Produttore:Luca Cambi
Prima TV Italia: 16 aprile 2007 Fox