Quando si risveglia, Paul Conroy, contractor americano in Iraq, si trova in una situazione sconosciuta: è legato e chiuso in una cassa di legno sepolta sotto terra. Dopo essersi slegato trova accanto a sé un accendino e un cellulare. Col primo illumina il poco spazio a sua disposizione. Dal secondo riceve una chiamata da ribelli iracheni: per essere liberato deve mandare un video all’ambasciata per convincerla a pagare un grosso riscatto.
Nell’epoca di Avatar e 2012, di green screen e mirabolanti effetti digitali, girare un film in rigorosa unità di spazio, con un solo personaggio che appare in scena (di altri si ascolta solo la voce) e con un’illuminazione ridotta significa, programmaticamente, porre l’attenzione sugli elementi essenziali della storia. Il rischio dell’artificioso in questa scelta è evidente – gli americani parlano di “gimmick film” –, ma Cortés riesce a gestire la materia in modo brillante, mantenendo un costante livello di tensione e mettendo a segno alcuni efficaci momenti di suspense. Certo, non pare il caso di gridare al capolavoro, come taluni hanno fatto. Se i titoli di testa alla Saul Bass e certi accenti della musica richiamano, o scimmiottano, Hitchcock, tirare in ballo il “maestro del brivido” per Buried appare un po’ eccessivo. Per il momento limitiamoci ad aggiungere il nome di Cortés alla già nutrita lista di notevoli registi di cinema di genere che la Spagna ha portato alla ribalta dagli anni ’90 ad oggi: Amenábar (poi passato ad altro tipo di film), de la Iglesia, Balagueró, Monzón.
Buried innesta sulla situazione straordinaria in cui si trova il protagonista la rappresentazione di sensazioni del tutto ordinarie, che chiunque prova quotidianamente. Più che con l’angoscia derivante dall’essere rinchiuso in una cassa sotto terra, il protagonista deve fare i conti con un genere di frustrazione che ogni spettatore conosce bene: i tempi di attesa, le segreterie telefoniche, la richiesta di rispondere a moduli burocratici, la sensazione di impotenza che nasce dal trovare all’altro lato di uno sportello o di un telefono, o tra i superiori di una struttura gerarchica, non una persona preoccupata per i nostri problemi, grandi o piccoli che siano, ma l’esecutore di una procedura standardizzata.
Ponendo l’attenzione sul modo in cui viene articolato questo leitmotiv potremmo allora dire che il tema di Buried è la riduzione dell’individuo a numero, a ingranaggio di un’organizzazione impersonale. La deresponsabilizzazione che deriva dall’essere inserito in una grande organizzazione può essere invocata dal protagonista a propria discolpa (“sono solo un uomo: non prendo decisioni”), ma è alla base di una fondamentale perdita di identità. Questa – prima ancora che la sua condizione fisica di isolamento – è la fonte della profonda solitudine del protagonista. Si può dire che la vera angoscia che il film rappresenta nasce da qui.
Titolo originale: Buried
Nazione: Spagna
Anno: 2010
Genere: Thriller
Durata: 94’
Regia: Rodrigo Cortés
Cast: Ryan Reynolds, Robert Paterson, José Luis Garcia-Perez, Stephen Tobolowsky, Samantha Mathis, Warner Loughlin, Ivana Miño, Erik Palladino
Produzione: Versus Entertainment in associazione con The Safran Company e Dark Trick Films, con la partecipazione di Studio 37/Kinology
Distribuzione: Moviemax
Data di uscita: 15 ottobre 2010 (cinema)
Sito ufficiale: www.buried-sepolto.it