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Come le figure che ha interpretato sul palcoscenico (Medea, Violetta, Mimì, Anna Bolena), anche Maria Callas è entrata nella storia e nel Mito. Da emigrante greca a stella della lirica, diva dal carattere difficile, giovane insicura e grassa che si trasforma in pochi anni nella regina del jet set internazionale, eterna amata di Aristotele Onassis.
Il documentario di Philippe Kohly, esperto in ricostruzioni della vita di personaggi famosi, ce la racconta con l’ausilio di foto di scena, interviste, immagini di vestiti e gioielli. Alla 64° Mostra del Cinema di Venezia è stato possibile rendersi conto di come questa donna non sia morta nella memoria collettiva, né la sua memoria sia stata distorta col passare degli anni: il pubblico, gli amanti della lirica, i registi continuano ad amarla come cantante, come volto, come diva.
Philippe Kohly le rende un omaggio multisfaccettato e completo, aderendo però ad una tecnica di regia abusata e senza guizzi. Il film, che inizia con una finestra sugli ultimi anni di grande successo di Maria Callas, interrompe poi la narrazione per ripartire dalle origini, continuando poi lungo un percorso cronologico. Vari filmati amatoriali (alcuni molto rari) mostrano poi la regina della Scala in stretti rapporti con figure di rilievo degli anni ’50 e ’60: oltre ad Aristotele Onassis, ecco Grace Kelly, Jaqueline Kennedy, Churchill.
Appaiono spezzoni registrati delle grandi interpretazioni della Divina, mentre sullo schermo compaiono vari vestiti da lei indossati che ruotano su se stessi, e sullo sfondo bozzetti per le scenografie dell’opera in questione. Tutto storicamente corretto, tecnicamente ineccepibile, innegabilmente di fascino. Purtroppo, il fascino è della Callas e della sua vita, non del film. Si è parlato di “aderenza e identificazione dello spettatore con la Callas”, ma la realizzazione dei vari argomenti trattati non mantiene sempre la parola: la chiara fattura televisiva del documentario mortifica la volontà di celebrazione iniziale, l’insistenza sui vestiti e sui gioielli rende tutto un po’ frivolo. Il famoso e chiacchierato dimagrimento della cantante viene liquidato in una frase, ed anche la straordinaria capacità di aderenza ai sentimenti dei personaggi interpretati che la contraddistingueva (una qualità artistica che la fece paragonare, nel ruolo di Violetta Valery – Margherita Gauthier, alla Duse) è trattata superficialmente, data per scontata.
Callas Assoluta non è un biopic, ed in questo caso forse è un peccato. La vita di quest’artista poteva benissimo venire romanzata, mantenendo, e forse aumentando, la sua aura quasi mitica. La presenza, all’interno della narrazione, di tre registi dediti all’eccesso (Visconti, Zeffirelli, Pasolini) poteva dare vita ad una raffigurazione più consona alla loro visione, dato che quell’artista l’avevano sempre saputa capire ed utlizzare al meglio. Invece insistenze sugli scandali, inquadrature sulle parrucche, uso smodato di una voce off irritante (perchè chiaramente schierata e mai informativa o semplicemente accompagnatrice delle immagini) rendono il film un documentario che non mette in discussione, non fa ragionare sulla vita di una stella infelice. L’opera di Kohly finisce per essere televisiva proprio per questo: impone, non propone. E tutto si riduce ad una fiaba triste, melodrammatica, così conforme alla visione della vita che aveva Maria Callas. Ma il piacere del cinema, della visione, dell’emozione rimangono al di là dello schermo, dietro il trucco di scena, in uno spettacolo troppo artefatto, come in una buona opera cantata male.
Titolo originale: Callas
Nazione: Francia, Grecia
Anno: 2007
Genere: Documentario
Durata: 97′
Regia: Philippe Kohly
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Data di uscita: Venezia 2007