“CARPE DIEM TROTE GNAM”: INTERVISTA A VASCO MIRANDOLA

Giocando con le parole

Una chiacchierata con Vasco Mirandola, a pochi giorni dall’uscita del suo ultimo libro Carpe Diem Trote Gnam (Cleup). Si parla con Vasco e si trova l’attore, il poeta, il comico. In due parole, la persona curiosa, che nel mondo esterno trova continue scintille con cui accendere le numerose lampadine accatastate nella mente. Parliamo di parole, di leggerezza e di giochi, senza seguire un filo preciso, provando a entrate nell’orbita semiseria della poesia, nelle sue profondità e nelle sue lievità.
Un’anteprima inusuale dei testi contenuti del libro sono gli Zuggerimenti Poetici, cortometraggi realizzati da Marco Zuin per “visualizzare la poesia”. Altrettanto inusuali ci sono state annunciate le presentazioni del libro, che riprenderanno a gennaio.

Carpe Diem Trote Gnam: “Un libro che cammina sul filo da stendere di un sorriso, metà giocoso, metà lunatico, metà imprevedibile; praticamente un libro e mezzo”. Urge un tuo commento su questa frase. Promozionale sì, ma forse anche già un assaggio del libro…

In effetti queste parole mettono già in luce un gioco sul linguaggio. Da un lato danno l’idea di una leggerezza, di un modo di fare poesia; e dall’altro giocano con tutte le possibilità di far leva sui concetti, sulle parole: si rivoltano, si rigirano. Sempre con un tocco di ironia e leggerezza.
La frase “Carpe diem trote gnam” l’avevo inventata circa dieci anni fa e si è diffusa poi come modo di dire. Ma il libro che ne deriva è fermo da molti anni nella sua prima versione: c’è stato un percorso. Questo è il mio terzo libro; dopo il secondo fatto per Comics avevo materiale per due volumi; l’ho lasciato in stand by finché siamo arrivati ad oggi: e tutto quel materiale si è riempito di tanti mondi, di tanti anni. Oggi c’è anche uno spazio maggiore per la poesia più “poetica”.
D’altronde, sono “l’unico poeta con la licenza estendibile alla pesca”.

Nel libro il gioco si estende anche alla grafica, grazie ai disegni dell’illustratrice Elena Mirandola.

Ho sempre sentito l’esigenza di inserire nei libri anche dei disegni; così come nel fare teatro cerco la danza, la musica, le arti visive: mi pare che in questo modo certi linguaggi si amplifichino. Elena, mia nipote, ha un tratto molto buffo, molto ironico: mi è parso adatto al libro.
È stata una bella collaborazione.

Nella scheda del libro scrivono di te: “Prosegue la ricerca dell’autore e attore padovano verso le potenzialità della parola e della scrittura, attraversata dal tocco ironico che lo contraddistingue”. Proviamo allora ad addentrarci un po’ di più in questa tua ricerca sul linguaggio.

Ti cito un’altra parte della presentazione: “Questo libro si insinua tra le pieghe delle parole, le stana, le spiega, le gonfia, le tronfia, le ingrugnisce, le spela, le allegra, le intontisce, le svaria, le induce, le intimidisce, le intontisce, le illude, le incolpa ma dopo chiede sempre scusa”. È il mio approccio alle parole: le tratto come gioco e come divertimento. Questo è un libro colpito a tradimento da vari punti di vista, pieno di sgambetti alla logica, senza quel prendersi troppo sul serio di certe poesie. È un mondo in cui mi sento a mio agio: ho fatto il comico per tanti anni, mi diverte trovare in pochi attimi una scivolata, una caduta dell’essere umano. Giusto per fare degli esempi, cito un haiku contenuto nel libro: “Osservo il crepuscolo disturbato solo da un moscerino minuscolo”; o ancora, Autunno: “su di me cadono le foglie del faggio, meglio che le pigne del pino”.
Alcuni giochi finiscono in battuta, altri sono grafici. Non sono cose pensate; vengono naturali. L’altro giorno ascoltavo una poetessa tutta compita che recitava un testo; si è soffermata con particolare coinvolgimento sulla parola “attimo”; ma mentre lei lo pronunciava con tanta convinzione, evocando chissà che concetti, io ho pensato “attimo: mannaggia, è già passato”.
Un po’ come Benni, che parte da poesie scritte magnificamente che poi fa girare da tutt’altra parte. Non è un ridere sguaiato, ma un sorridere umano di un’imperfezione.

Non so se sia correttto, ma mi pare che forse il senso del libro sia rinchiuso, come scrivi, nel sottolineare “il valore delle piccole cose, il qui e ora, il cogli l’attimo, o il più mordace ‘ndo cojo, cojo”.

Questo è uno dei sensi possibili; ma tante cose si incrociano in questo libro. Cerco di abbassare la poesia alla quotidianità, alle cadute. “Quando nascono i funghi nel cuore io non ho che te, tu non hai che me, e in due non abbiamo un gran che”: è poesia perché ha le rime. Mi piace quando si concentrano in brevi e pochi attimi una sensazione, un momento: per questo adoro gli gli haiku giapponesi.

In tutta la tua produzione artistica – per lo meno in quella dell’ultimo periodo – si ritrova un’urgenza poetica, uno sguardo alla parola “altra”. Com’è il tuo camminare con la poesia?

Leggevo l’altro giorno di un bambino che cammina con suo nonno, e che in quel momento prova la sensazione di tenere per mano un palazzo. È come essere accompagnati nella vita da qualcosa, arrivata da sola; fin da giovanissimo ho iniziato a scrivere poesie – molto sanguigne, era l’età. Anche nel mio percorso teatrale, anche quando facevo il terzo teatro con training fisici micidiali, mi affascinava vedere l’attore che in scena di muoveva appena, ma pronunciando una parola era vivo. Questa è stata poi la mia ricerca artistica: togliere tutto, e quel che resta è la poesia.
Con la poesia basta poco e si aprono dei mondi. Il fascino delle parole è che nascondo più di quanto non dicano. E questo fa anche parte del lavoro dell’attore, che deve scoprire ciò che le parole celano.

http://www.vascomirandola.it