Il giorno prima di prendere servizio come secondino, Juan si presenta nel carcere in cui deve lavorare. È lo stesso giorno in cui scoppia una rivolta guidata da Malamadre, l’indiscusso leader dei detenuti. Accidentalmente colpito in testa e rimasto privo di sensi, Juan viene abbandonato da due suoi colleghi in una cella. Al suo risveglio, visto che i carcerati ancora non lo conoscono, ha un’unica possibilità per sopravvivere: fingersi carcerato.
Cella 211 è un film che affronta il genere del cinema carcerario con mezzi che stanno tra Rec (l’ambiente claustrofobico e minaccioso; il ruolo delle telecamere come strumento di documentazione e come strumento di potere; una buona quantità di sangue) e The hurt locker (l’approccio “finto documentaristico” applicato a un tema di scottante rilevanza sociale).
Questo approccio “finto documentaristico”, peraltro, si combina con la valenza simbolica attribuita a certe immagini. Per esempio, alle inquadrature delle mani. Il prologo ci mostra un detenuto che si taglia le vene con una rudimentale lama. E l’ultima inquadratura del prologo è appunto quella delle mani del detenuto, coperte di sangue e aperte in un atteggiamento di invocazione e di interrogazione. Che l’inquadratura possa avere un significato simbolico lo si capisce meglio subito dopo, quando la storia inizia proprio con l’inquadratura di due mani: sono quelle di un secondino che ispeziona alcuni oggetti all’ingresso del carcere. Queste mani sono ricoperte da due guanti sterili. In contrasto con le mani sanguinanti del detenuto del prologo, queste mani simbolizzano l’atteggiamento distaccato di chi, rifugiandosi nelle procedure asettiche e impersonali della burocrazia, non vuole “sporcarsi” con il sangue, la carne e le sofferenze dei detenuti. Juan compie il percorso che lo porta invece a conoscere sulla propria pelle queste sofferenze e l’inquadratura che sancisce il suo definitivo passaggio di campo è ancora un primo piano di mani: quelle di Juan, sporche di sangue per aver tagliato l’orecchio di un ostaggio.
Il film di Monzón è un lavoro molto interessante, che riesce a creare una fortissima tensione (non solo nelle scene d’azione, ma anche, ad esempio, nel dialogo finale tra Malamadre e Juan) e che, pur essendo un film piuttosto violento e crudo, non cade nell’exploitation della violenza (ma il primo piano dell’orecchio mozzato era davvero necessario?). Se la definizione psicologica dei personaggi è sostanzialmente da film di genere, il film ha però il pregio di non fornire allo spettatore le facili coordinate di una rigida divisione tra “buoni” e “cattivi”, costringendolo a seguire la vicenda attraverso gli occhi di un criminale non pentito (Malamadre) e di un personaggio “costretto” a diventare a sua volta un criminale (Juan). A questo proposito può essere un interessante esercizio pensare a quali trasformazioni un plot come questo potrebbe essere sottoposto in un eventuale trattamento hollywoodiano.
Titolo originale: Celda 211
Nazione: Francia, Spagna
Anno: 2009
Genere: Azione
Durata: 104′
Regia: Daniel Monzón
Sito ufficiale: www.celda211.com
Sito italiano: www.cella211.it
Cast: Carlos Bardem, Luis Tosar, Antonio Resines, Marta Etura, Alberto Ammann, Fernando Soto, Manolo Solo, Félix Cubero, Jesús Carroza, Luis Zahera, Manuel Morón, Antonio Durán “Morris”
Produzione: Morena Films, Telecinco Cinema, Vaca Films
Distribuzione: Bolero Film
Data di uscita: Venezia 2009
16 Aprile 2010 (cinema)