“COUS COUS” di Abdellatif Kechiche

Il ritorno del regista de "La Schivata"

Concorso
In una cittadina portuale non molto lontana da Marsiglia, Sète, vive Slimane, magrebino d’origine, che si è ormai stabilito definitivamente con la sua famiglia allargata nel sud della Francia. Il sessantenne, alle soglie della pensione e affaticato da decenni di duro lavoro, si ritrova vittima della precarietà del mercato del lavoro e fa un tentativo pressoché disperato di reinventarsi come ristoratore. Allo stesso tempo continuano ad esplodere nel suo scombinato nucleo familiare piccole e grandi crisi: gli alimenti alla prima moglie sono difficili da pagare, la sua seconda moglie è gelosa, e uno dei figli continua a tradire la moglie e la fiducia dei familiari. I nodi verranno al pettine alla serata di inaugurazione del ristorante.

Abdellatif Kechiche può essere considerato come uno dei più promettenti registi di origine magrebina: era alla Settimana della Critica di Venezia 2000 con il suo Tutta colpa di Voltaire (vincitore del premio Luigi De Laurentiis per la migliore opera prima), per poi fare incetta di premi César nel 2005 con il suo secondo lavoro, La schivata, circolata anche nelle sale italiane. Qui, arrivato finalmente al concorso principale della kermesse del Lido, si mette alla prova con un film corale (anche se non nel senso altmaniano del termine) in cui continua a confrontarsi con la situazione delle comunità nordafricane nel contesto sociale cittadino della sua patria d’adozione, la Francia.

Per fortuna, questo La graine et la mulet non si atrofizza però sugli schemi dei cosiddetti film sull’“integrazione”, l’ampia famiglia protagonista è ben inserita nel tessuto culturale della costiera mediterranea, e i problemi che Slimane e parenti devono affrontare sono né più né meno quelli di qualsiasi “non-benestante” della nostra contemporaneità: l’insicurezza del futuro lavorativo, gli alimenti da pagare alla ex-moglie e le scelte morali che portano a tradire i propri cari o ad affrontare dei sacrifici per amore o amicizia.
Kechiche sceglie di spalmare la sua storia su una distanza piuttosto impegnativa (poco più di due ore e mezza di proiezione) e non sappiamo se la eventuale casa di distribuzione italiana intenda intervenire con qualche sforbiciata sugli episodi meno pregnanti; tuttavia non siamo di fronte ad un’epopea familiare (l’unità di tempo si conta in qualche mese) né tanto meno davanti ad un insipido polpettone, ma nemmeno ci è dato di sentire l’afflato dei grandi affreschi culturali. Siamo piuttosto nell’ambito di un film intriso di nostalgia e soffuso dolore intimo che ci ha ricordato per struttura narrativa un ottimo prodotto indie di qualche anno fa, Big Night (1996), in cui due emigrati italiani tentavano di far decollare il proprio ristorante negli States organizzando una grande cena di gala con le autorità ed i notabili del posto.

Anche qui la scommessa del portuale magrebino, corpo stanco e in crisi (interpretato con silenzioso cipiglio da Habib Boufares) si concentra tutta su un “la va o la spacca” esistenziale, una serata d’inaugurazione con la quale Slimane dovrebbe convincere i propri finanziatori (ma anche la propria famiglia) che il nuovo ristorante non è solo frutto della sua pazzia senile da uomo vinto, ma si può trasformare in una sorta di piccolo paradiso gastronomico che veda compiersi una piccola rivalsa culturale, ed anche, perché no, umana tout court.

Titolo originale: La Graine et le mulet
Nazione: Francia
Anno: 2007
Genere: Drammatico
Durata: 151′
Regia: Abdel Kechiche
Cast: Habib Boufares, Marzouk Bouraouïa, Faridah Benkhetache, Sabrina Ouazani, Alice Houri, Olivier Loustau, Bruno Lochet, Carole Franck
Produzione: Pathé Renn Productions, Pathe Films
Distribuzione: Lucky Red
Data di uscita: Venezia 2007