“Chávez Ravine” di Ry Cooder

Ry Cooder, il filologo del rock

Dopo il successo insperato e clamoroso di “Buena Vista Social Club” e di “Mambo Sinuendo”, Ry Cooder torna con un disco dedicato a un quartiere messicano di Los Angeles, raso al suolo negli anni Cinquanta per far posto a uno stadio di baseball. Voci di interpreti originali si mescolano con la sapiente arte dell’artista losangelino, per far rivivere suoni di un luogo e un’epoca che altrimenti sarebbero andati irrimediabilmente perduti.

Il desiderio di ricerca musicale di Ry Cooder sembra veramente instancabile: basta dare uno sguardo alla sua imponente discografia (e a oltre 35 anni di onorata carriera) per rendersi conto dell’amore di Cooder per le forme musicali popolari americane di inizio secolo XX, dal country al blues, al tex-mex e al jazz, oltre alle fortunate incursioni nelle tradizioni caraibiche, che gli hanno valso anche qualche bel successo commerciale.

Chitarrista eclettico e virtuoso, questa volta Cooder torna nella sua nativa Los Angeles per occuparsi di uno dei tanti casi di usurpazione che hanno visto sparire sotto le ruspe di una potente impresa edile l’intera comunità meticcia di un quartiere povero di Los Angeles, Chávez Ravine, appunto.
Come ogni progetto di Cooder, la musica originale viene filtrata e più o meno reinterpretata secondo il gusto dell’autore. Ci sono brani come Corrido de boxeo, Ejercito militar, Barrio Viejo, rimasti quasi intatti, grazie soprattutto alla presenza di grandi interpreti originali come Lalo Guerriero (la sua scomparsa, qualche mese fa, ha reso queste ultime interpretazioni il suo testamento artistico) e le sorelle Ersi e Rosella Arvizu. Dall’altra parte, ci sono le composizioni originali di Cooder, fortemente ispirate dalle atmosfere mariachi e tex-mex del progetto. Con un brano come Don’t Call Me Red scopriamo così quanta atmosfera messicana ci sia sempre stata in molte composizioni di Tom Waits (o è forse Cooder che ha reinterpretato il Messico attraverso il linguaggio waitsiano?), Muy Fifì diventa un accattivante pezzo elettro-acustico, mentre Chinito Chinito (nel quartiere era presente anche una numerosa comunità cinese, relegata ai lavori più poveri) è un vecchio hit pachuco con sorprendenti inserti orientaleggianti. E poi ancora la raffinata 3 Cool Cats di Lieber & Stoller, la stralunata El U.F.O. Cayó (dove viene raccontata la storia di Chávez Ravine nella lingua Caló, una variante dello slang di Los Angeles) e alcune composizioni originali di Cooder stesso, come It’s Just Work For Me e In My Town.

Un disco complesso e costoso (che Cooder ha prodotto interamente di tasca sua), un lavoro di ricerca e denuncia sociale che ha conseguito senza dubbio il suo scopo: recuperare la splendida tradizione musicale di una minoranza povera di Los Angeles, che rischiava altrimenti di essere completamente dimenticata, così come dimenticato è ormai il quartiere da cui proviene questa comunità, spazzato via negli anni Cinquanta per far posto a un ben più redditizio stadio del baseball. Ironia della sorte, recentemente si è appresa la notizia che proprio quello stadio verrà ben presto abbattuto a sua volta, e al suo posto sorgerà un quartiere residenziale di lusso. Un motivo in più per amare questo disco.

DISCOGRAFIA ESSENZIALE
RY COODER (Reprise 1970)
INTO THE PURPLE VALLEY (Reprise 1972)
BOOMER’S STORY (Reprise 1972)
PARADISE AND LUNCH (Reprise 1974)
CHICKEN SKIN MUSIC (Reprise 1976)
SHOW TIME (Warner Bros. 1977)
JAZZ (Warner Bros. 1978)
BOP TILL YOU DROP (Warner Bros. 1979)
THE SLIDE AREA (Warner Bros. 1982)
GET RHYTHM (Warner Bros. 1987)
MEETING BY THE RIVER (Water Lily Acoustic Records 1993)
TALKING TIMBUKTU (World Circuit 1994)
BUENA VISTA SOCIAL CLUB (World Circuit 1997)
MAMBO SINUENDO (Nonesuch/Perro Verde 2003)
CHAVEZ RAVINE (Nonesuch/Warner 2005)