Chie-Chan e io di Giorgio Amitrano
tratto dal romanzo di Banana Yoshimoto
commissione del Napoli Teatro Festival Italia
con Caterina Carpio, Alessia Giangiuliani, Guglielmo Menconi, Francesca Porrini, Cinzia Spanò.
scene Guido Buganza – regia Carmelo Rifici
produzione Napoli Teatro Festival Italia / Mercadante Teatro Stabile di Napoli / Teatro Eliseo
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Adattamento teatrale del nuovo romanzo di Banana Yoshimoto, Chie-Chan e io racconta la storia di Kaori, una donna di quarantadue anni, e del rapporto profondo che la lega a sua cugina Chie-Chan, di cinque anni più giovane. È un legame particolare quello tra le due donne, al punto da rendere impossibile una vita fuori da questo nucleo; una dipendenza affettiva che mette in crisi la libera esistenza, priva di legami, della donna giapponese in cerca di emancipazione.
Banana riprende in questo libro, leggero e profondo, alcuni dei suoi temi ricorrenti: la solitudine, la convivenza con la morte e, soprattutto, la famiglia come invenzione: l’autrice contrappone alla famiglia biologica, in forte crisi nella società moderna, un nucleo familiare non convenzionale, all’interno del quale, in questo caso, il polo maschile ne è escluso. Come sempre, la Yoshimoto ci mostra personaggi che non hanno radici, orfani (una scena molto forte del romanzo è quella in cui Chie-chan scopre le reali circostanze della propria nascita e il suicidio della madre) che tentano di superare questo trauma “costruendosi” un’altra vita, quasi da favola, che aiuti loro a spiegare la realtà, consentendoli di entrare nell’età adulta.
La moda e l’Italia, sono due leitmotiv del romanzo. Altra ossessione del Giappone contemporaneo. Pur non essendo personalmente vittime del fashion style, le due donne vivono costantemente nel glamour. Kaori lavora in una boutique di lusso della zia, ed è costretta a viaggiare spesso tra Tokio e Milano per acquistare abiti e pur non coltivando l’interesse per la moda ha un forte senso estetico, osserva e commenta la bellezza degli abiti e la qualità delle stoffe. Molto probabilmente il motivo del racconto sta proprio qui: nella contrapposizione tra la vita pubblica di rappresentanza, la superficialità degli ambienti della moda, e il silenzioso e pacato comportamento (al limite dell’autismo) della vita privata, fatta di monotoni gesti, di piatti cucinati immancabilmente nello stesso modo e di un’unica canzone ripetuta.
Il mistero della vita appartata delle due protagoniste ha il potere di colmare il bisogno di affettività in maniera più completa e appagante di quanto la famiglia di origine o un uomo potrebbero fare.
Note di regia
Chie-Chan e Io, ultimo lavoro di Banana Yoshimoto, è un testo enigmatico. Attraverso il racconto di un avvenimento, un incidente d’auto non grave capitato alla cugina della protagonista, la scrittrice giapponese sviluppa un discorso sul tema del desiderio, o meglio, sul conflitto tra desideri materiali e quelli dell’“anima”. E’ il punto di partenza di un testo costruito come una ragnatela, un labirinto della mente in cui i pensieri si moltiplicano all’infinito. Per questo si è deciso di dare più voci al personaggio principale, in modo da permettergli di continuare ad interloquire con se stesso. La realizzazione del desiderio, sia materiale che spirituale, si attua durante l’attività onirica, la regia si appropria di questo dato per costruire uno spettacolo immerso in un’atmosfera da sogno. Gli avvenimenti, i pensieri, le contraddizioni che si susseguono in maniera caotica, confusa, senza logica realistica nella mente di Kaori, la protagonista, sono giustificati da una rappresentazione che procede come un sogno continuo, un sogno dentro il sogno. A volte effimero, come quello di una vita di lusso (molti sono gli episodi ambientati in ristoranti eleganti o nella moda) a volte inquieto e disarmante, riflesso delle paure che attanagliano l’individuo: la paura della solitudine, della malattia, della morte. Se il desiderio può risanare una frattura interiore, allora ciò che in questa storia va risanato è il senso di abbandono che provano i personaggi. L’abbandono da parte dei genitori. I personaggi della Yoshimoto sono eterni bambini persi nel tempo. Attraverso procedimenti narrativi non convenzionali, al limite dell’inverosimile, l’autrice mostra personaggi privi di radici familiari, orfani, figli di genitori immaginari o sostituiti da altre inquietanti presenze. L’ossessione di non essere mai stati generati fa nascere in loro il desiderio di ricostruire artificialmente una stabilità fisica ed emotiva. Ma questa stabilità si può raggiungere in due modi: o formando una nuova tipologia di famiglia, non costituita sui legami di sangue o sul matrimonio ma su affinità elettive, o cedendo alla seduzione dal mondo esterno, abitato da uomini sicuri, ricchi, potenti e dinamici. Da una parte quindi il mondo capitalistico e moderno, che non fa più i conti col proprio passato, dall’altro un rifugio, una tana dove la realtà si adatta alle necessità dell’io. Un rifugio fragile, commovente e allo stesso tempo inquietante, come i sempiterni bambini che lo abitano.
Carmelo Rifici
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