“Choi voi (Adrift) di Bui Thac Chuyen

Sedotti e abbandonati

Orizzonti
Quello che si dice un matrimonio squilibrato: Hai, tassista sbarbatello a digiuno di esperienze erotiche sposa Duyen, bellezza da copertina dalla sensualità straordinaria, e come volevasi dimostrare, alla prima notte di nozze i due non combinano nulla. Ma nei giorni seguenti la coppia, “aiutata” con modalità piuttosto originali da amici e vicini di casa, scoprirà di avere ancor meno in comune di quel che impedisce un immediato affiatamento sessuale.

Non capita spesso di vedere un film vietnamita nelle sezioni principali di Venezia, quindi è tanto più positiva la sorpresa di questo Choi voi (nella traduzione inglese Adrift, ovvero “alla deriva”), interessante secondo lungometraggio di Bui Thac Chuyen, che come da titolo segue la lenta ma inevitabile deriva, il reciproco allontanamento di due giovani sposi, che sono così diversi e poco “elettivamente affini” da mettere in serio dubbio la sanità mentale di chi li ha messi insieme. O forse è proprio qui il punto: come il regista ha dichiarato, egli voleva qui, anche se senza comodi didascalismi, puntare l’attenzione sul portato delle tradizioni del proprio paese, che forse non è ancora riuscito a trovare una propria via antropologica e sociologica che impedisca ai suoi giovani di rimanere intrappolati nei doveri familiari suggeriti da una morale prestabilita a tavolino.

Ce lo dimostra l’accanita presenza della madre del protagonista, che continua a chiamare “bambino” il novello sposo e lo vizia con manicaretti prelibati, ma evidentemente non gli ha mai spiegato quali siano i suoi piacevoli doveri coniugali; altrettanto inspiegabile poi (per lo meno in una semplicistica ottica occidentale) è il perché la protagonista, la novella sposa, sia quasi ignara della propria prorompente carica sessuale e si muova ingenua fra un letto frigido, un’amica che evidentemente si augurerebbe da lei un legame ben più intimo e un piccolo bullo donnaiolo che ovviamente ne fa la sua ennesima preda con la facilità proverbiale della caramella rubata a un bambino.

Il “bambino” dunque: proprio nell’irritante comportamento immaturo di Hai (dorme sempre, ha accanto una bellezza invidiabile, ma non “ne approfitta”, non comprende le avances della vicina di casa) sta forse una metafora di una società viva, quella vietnamita, ma ancora non completamente adulta?. Lo dimostrano i comportamenti in fondo infantili e immaturi di altri personaggi, scelti non a caso dal regista: il padre di una vicina di casa, che non sa far altro che dedicarsi alle sue lotte con i galli ma trascura la famiglia, o ancora la condiscendenza con cui la nonna della sposa si adeguava alle ripetute scappatelle del marito. È importante comunque sottolineare che questo Choi voi non risulta affatto schematico e non si riduce ad una interpretazione “volgarmente sociologica” che appiattisca psicologia e realismo quotidiano. I contrasti sono multiformi e differenti: da un lato abbiamo infatti chi è troppo tradizionalista e non si ribella, dall’altro una parte di gioventù che è fin troppo emancipata e che queste tradizioni le infrange senza batter ciglio.

Le infrange però a scapito dei più deboli, di nuovo dunque a svantaggio di coloro che son rimasti bambini (a modo loro i due sposi che non consumano…, l’amica che non può “far crescere” il suo amore lesbico), e si fanno manipolare chi dall’eccesso oscurantista, chi invece dall’estremo opposto, una libertà di costumi che causa dolore e morte (una giovane amica si ucciderà per gelosia).
“Adrift”, dunque, alla deriva: né ancorati in un saldo porto che permetta un quieto vivere familiare, ma neppure capaci di dominare il mare e salpare lontani sulla scorta della modernità. I personaggi si fanno portare dalla corrente, e non possono che finire sugli scogli, o, alla meglio, nelle infruttuose secche dell’animo.

Sulla colonna delle critiche va forse registrata una eccessiva schematicità di alcuni personaggi (o meglio una non ideale interpretazione dei modelli da copertina usati come attori?), tanto che la figura da bell’addormentato del giovane sposo sfiora la parodia involontaria. Mentre se invece un grosso complimento a Bui Thac Chuyen lo si vuole fare è forse il fatto che ci abbia ricordato in diversi momenti lo Tsai Ming Liang delle origini, quello che ne Il fiume o in The Hole sapeva trarre il meglio dagli spazi chiusi domestici, dai rapporti inespressi a-verbali dei suoi personaggi e dalla metaforicità dell’elemento acquatico: anche qui infatti è un continuo lavarsi, un’abluzione ossessiva che sfocia in un diluvio ben poco catartico che inonda le strade della città, quasi si dovesse per puro risciacquo o sfregamento lavare una colpa originale, quella di essere “young at heart”.
Un film interessante dunque, che non si limita affatto a malcomprese poeticità “orientali”, né tanto meno snatura una cifra stilistica originale, quella di un autore da seguire anche in futuro.

Titolo originale: Choi Voi
Nazione: Vietnam
Anno: 2009
Genere: Drammatico
Durata: 110′
Regia: Bui Thac Chuyen
Cast: Yen Hai, Linh-Dan Pham, Khoa Du

Data di uscita: Venezia 2009