Giornate degli autori
È meglio vivere in una famiglia distrutta in tempo di pace o “approfittare” della guerra per riunire affetti rovinati vent’anni prima?
È questo il paradosso che emerge in fondo alla visione del quarto film del bosniaco Tanovic, enfant prodige e vincitore di Cannes e dell’Oscar per il miglior film straniero con il suo esordio No Man’s Land, poi girovago senz’altrettanta fortuna per il mondo cinematografico. Ora, con questo Cirkus Columbia (è il nome di una giostra legata ai ricordi dei protagonisti), torna nella sua Bosnia martoriata, e sembra ritrovare decisamente la sua verve più autentica e toni espressivi a lui confacenti.
Basato su un omonimo testo letterario, il film parte piano e forse non proprio con il giusto piglio: poi però si riprende, quanto a ritmo e a intreccio dei personaggi, e Tanovic si barcamena coscientemente fra il quadretto un po’ grottesco di personaggi post-comunisti (siamo nel 1991, appena dopo la caduta dei vari regimi totalitari), e il dramma familiare della famiglia protagonista. Sullo sfondo degli avvenimenti storici che hanno segnato l’Europa di vent’anni fa (la caduta del Muro, la conseguente corsa alla “democrazia”, il ritorno in patria di molti perseguitati e anticomunisti) si dipana fino ad esplodere una vicenda concreta e personale: Divko (Miki Manojlovic) rientra dalla Germania e pretende la restituzione della casa, occupata a suo dire illegalmente dalla sua prima moglie, dando così la stura a piccole vendette e rese dei conti familiari.
Aldilà delle specifiche vicende, leggiamo un tentativo solo un po’ schematico, ma in definitiva riuscito, di tematizzare alcuni concetti e opposizioni di più ampio respiro: cosa possiamo considerare davvero la nostra casa, la nostra “patria”? un uomo (e tanto più un intero popolo) può davvero perdonare la violenza inflittagli molti anni prima? cosa spinge un uomo (e, ancora una volta, anche un intero popolo) a trasformare la propria pacifica vita quotidiana in un improvviso inferno bellico e in una caccia al nemico? Se il nemico di oggi (come in questo film e nelle brutali guerre balcaniche) era poi il tuo vicino o il tuo parente di ieri, il motivo del conflitto probabilmente trascende le motivazioni razionali, e va cercato, come fa Tanovic, nella paura immotivata, nell’avidità spicciola, nell’istinto di vendetta e sopraffazione che coglie l’uomo nei momenti di passaggio critico e di stress antropologico.
Sebbene non raggiunga la validità metaforica assoluta del suo esordio, né si distingua per la genialità di soluzioni di quella sceneggiatura, qui Tanovic riesce a costruire lentamente e per strati un apologo concreto, una danza continua al confine fra la grassa risata grottesca e la caduta nel dramma più disperato: si ride finché i personaggi si illudono che la normalità ed il buon senso possano avere il sopravvento, si ride finché si crede che la ricerca del proprio gatto disperso sia l’evento più importante della giornata (da cui le gag più esilaranti), si ride ancora della paccottiglia post-titina e del caos politico “balcanico” finché se ne può godere la tutto sommata pacifica quotidianità; si smette di colpo di ridere però se solo si pensa quanto fosse vero che da un momento all’altro i cittadini jugoslavi dovettero aprire gli occhi e scoprire che la Guerra era davanti ai cortili delle loro case, con i volti dei colleghi di lavoro e degli amici di bevuta della sera precedente.
La banalità del male e della violenza? Forse, ma anche (ed è qui che, ovviamente, l’arte può e deve fare il suo tentativo catartico) una paradossale lezione di “messa in prospettiva” e di capovolgimento: la famiglia di Divko, tormentata da atavici odi e incomprensibili ripicche di poco conto si ricompatta proprio “grazie” alla guerra. Come dire: di fronte ai bombardamenti un tradimento coniugale si può ben perdonare…A parte le battute e la necessaria ellitticità drammaturgica nell’evoluzione dei personaggi, Tanovic riesce comunque a farci credere che una ricomposizione sia possibile, non solo fra marito e moglie, animati in fondo da risibili ripicche, ma anche fra popoli che potrebbero ritrovare una piattaforma di dialogo se solo mettessero una sordina ai sentimenti irrazionali cui si accennava sopra: paura, gelosia e avidità.
Uno dei pochi film post-jugoslavi che non mostra la guerra, ma il “prima”: anche per questo, lode a Tanovic.
Titolo originale: Cirkus Columbia
Nazione: Bosnia Herzegovina, Francia, GB, Slovenia, Germania, Belgio, Serbia
Anno: 2010
Genere: Drammatico
Durata: 113′
Regia: Danis Tanovic
Cast: Miki Manojlovic, Mira Furlan, Boris Ler, Jelena Stupljanin, Mario Knezovic, Milan Strljic, Svetislav Goncic, Almir Mehic
Produzione: Art & Popcorn, Asap Films, Autonomous, Man’s Films, Razor Film Produktion GmbH, Studio MajData di uscita: Venezia 2010