Coi “Masnadieri” la Fenice celebra il Verdi minore

Discreta messa in scena a Venezia dell'opera tratta da Schiller

musiche di Giuseppe Verdi – libretto di Andrea Maffei
Teatro La Fenice, Venezia – 25/11/2012 – 04/07/2013

L’anno delle celebrazioni verdiane si apre in Fenice con la riproposizione di un’opera che il Maestro di Busseto compose nel suo momento di maggiore prolificità, fra il 1846 e il 1849. I Masnadieri precede dunque il celebre trittico della campagna (Rigoletto, Trovatore, Traviata) e come tale si colloca in un periodo in cui il compositore stava ancora maturando il proprio stile romantico. Portata in scena a Londra nell’estate del 1847, a soli tre mesi dal Macbeth di Firenze, l’opera non riscosse grande successo. La ragione principale va ricercata nell’eccessiva adesione agli stilemi del classicismo rossiniano, con un profluvio di cabalette e agilità vocali. Inoltre, poco rimane nei Masnadieri di Verdi delle atmosfere cupe e violente proprie della fonte letteraria. Una buona opera insomma, nella quale prevalgono i toni da Grand Operá e si sentono già gli echi eroici del Trovatore (soprattutto nelle arie corali), ma di certo non un capolavoro.

La vicenda tratta da Die Räuber di Schiller narra di un complicato intrigo famigliare, tra figli ripudiati e regnanti spodestati, e segna la crescente ispirazione del compositore italiano alla letteratura romantica del suo tempo. Il sipario si apre su Carlo, legittimo erede al trono di Moor ripudiato dal padre Massimiliano a causa delle malevoli macchinazioni del fratello minore Francesco. Il perfido fratello finge la morte di Carlo, in realtà a capo di uno stuolo di banditi, così da poter prendere il suo posto nei confronti della devota Amalia e favorire la morte per crepacuore del Conte Massimiliano. Pur spodestando il padre, Francesco finirà punito dalla furia dei banditi di Carlo, venuto a conoscenza del misfatto dalla fuggitiva Amalia e dal padre segregato in un fosso nel bosco. Ma nessuno scampa alla tragedia: Francesco si suicida per rimorso, Amalia si sacrifica per amore, Carlo preferisce la morte non potendo venir meno alla promessa fatta ai masnadieri e il Conte soccombe al dolore di tanto strazio. In piena tradizione di Grand Operá, Verdi costruisce l’opera per grandi quadri statici, che la regia di Gabriele Lavia non movimenta affatto, bensì enfatizza con l’assoluta stasi e la totale assenza di cambio scena. Ogni avvenimento viene così calato nel medesimo cortile abbandonato con tanto di graffiti e atmosfera pseudo-punk. La totale assenza di azione e l’uscita di personaggi morti o svenuti a sipario alzato risultano in una regia tutto sommato mancata.

Cast altalenante per la rappresentazione veneziana, nonostante l’appassionata direzione di Daniele Rustioni che cerca di trascinare orchestra e cantanti. Il giovane Andeka Gorrotxategui nei panni di Carlo, nonostante la buona presenza scenica, risulta un po’ sforzato vocalmente e con poco controllo, senza prestare troppa attenzione alle dinamiche ed eccedendo in violenza sugli acuti. Si difende Maria Agresta come Amalia nell’aria “Tu del mio Carlo al seno”, tuttavia senza saper emozionare dal punto di vista interpretativo. Traspare quindi la maggiore esperienza di Giacomo Prestia come Massimiliano e Artur Rucinski come Francesco che interpreta un buon duetto finale col giovanissimo Dionigi D’Ostuni nei panni del camerlengo Moser, dotato di una voce potente e sicura. Rustioni conduce bene l’orchestra sulla splendida ouverture, mentre è altalenante la prestazione del coro maschile. Nel complesso, il pubblico veneziano accoglie timidamente questa produzione portata in Fenice dal San Carlo di Napoli.

Cast & Credits
_ Direttore: Daniele Rustioni
_ Regia: Gabriele Lavia
_ Scene: Alessandro Camera
_ Costumi: Andrea Viotti
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
_ maestro del Coro: Claudio Marino Moretti