Fritz Kreisler e Heifetz, Stravinsky fra Mengelberg e Damrosch; e poi Stokovsky, Godovsky, Rachmaninof…c’erano proprio tutti la sera del 12 febbraio 1924 all’Aeolian Hall – una delle sale da concerto più importanti di New York – per ascoltare il programma del concerto intitolato “An experiment in Modern Music”.
Esso comprendeva composizioni di La Rocca, Baer, Silver Thomas, Schonberger, Confrey, Grofé; canzoni di Kern, Archer, Braham, Berlin… e terminava con una rapsodia appositamente composta per l’evento da un giovane musicista, tale George Gershwin, intitolata “A Rhapsody in Blue”, brano per pianoforte con accompagnamento d’orchestra.
Ad eseguire questa nuova composizione era l’orchestra di Paul Whiteman, l’artefice principale dell’avvenimento di quella lontana serata. Da tempo egli vagheggiava l’idea di portare la musica jazz nelle sale da concerto, quelle che vedevano abitualmente le esibizioni dei grandi solisti classici e le esecuzioni delle musiche sinfoniche europee.
Ma per farlo doveva creare l’attesa, il phatos. Per richiamare il pubblico colto ad ascoltare la sua orchestrina, ben nota ai clienti dei dancing di Broadway e profanare così il sacro tempio della musica classica, doveva eseguire qualcosa di nuovo, di sconvolgente. Ma chi poteva aiutarlo? Ma certo. Solo George Gershwin, il pianista ripetitore di Tin Pan Alley che con Swanee (canzone portata al successo da Al Jolson) vendette in un solo anno (era il 1919) circa 250mila dischi, tanto da far dire al suo babbo: “Ho cambiato venticinque volte mestiere. Ho fatto il fornaio, l’imbianchino, il book-maker… ma in tutta la mia vita non ho mai guadagnato tanto come George con questa canzonetta!”
La verità, come ci è stata raccontata, è che George di questa composizione, alla quale avrebbe dovuto appositamente lavorare, non ne sapeva proprio nulla. Quale sorpresa quindi leggere sul New York Tribune, verso fine gennaio, l’annuncio di un concerto di Whiteman fissato per il 12 febbraio. Tale concerto – riportava il giornale – comprendeva la prima audizione di una sinfonia per la quale Gershwin stava lavorando da alcuni mesi.
Chieste le dovute spiegazioni, George fu costretto subito a mettersi al lavoro e, tra la messa in scena di una commedia musicale a Brodway ed una a Boston, il tempo passava e lui non aveva scritto ancora una nota.
Gershwin stesso racconta che “ero in treno e mi lasciavo cullare dal suo sferragliare ritmico e battente (odo talvolta della musica, anche se sono sommerso dai rumori), quando ad un tratto percepii – o, per meglio dire, vidi addirittura sul pentagramma – la completa architettura della Rapsodia, dal principio alla fine. Non mi vennero lì per lì temi novi, ma lavorai sul materiale tematico che avevo già in me, e mi sforzai di concepire la composizione come un tutto unico… Quando giunsi a Boston, avevo già un piano ben definito di tutta l’opera”.
La Rapsodia dunque nacque in uno “stato di grazia”, sgorgata dal profondo del subcosciente e, come Gershwin ancora ci racconta “una sera, a casa di amici, sedetti al pianoforte ed incomincia ad improvvisare. Ad un tratto – in quel momento non pensavo affatto alla Rapsodia – sentii che un tema stava prendendo forma e dal cervello si diramava alle mani. Ubbidii docilmente al comando e, non appena le mie dita sfioravano i tasti, mi resi conto che il tema ch’io cercavo era arrivato da sé. Una settimana dopo il mio ritorno da Boston avevo già completato a grandi tratti la struttura della Rapsodia in blu”.
Il 12 febbraio, una serata fredda e nevosa, New York acclamò il suo più grande musicista e lo consacrò come l’astro nascente del XX secolo. Ci fu chi considerò la premiere della Rapsodia in blu un evento di portata superiore persino alla Sagra della Primavera. Il paragone è senz’altro impertinente e dettato dall’emozione, ma il trionfo per George, il quale eseguì al pianoforte la sua rapsodia, fu talmente grande che la cronaca mondana sguinzagliò i suoi reporters alla ricerca di notizie su questo giovane musicista, da un giorno all’altro balzato alla ribalta della celebrità.
Ricordando la mia infanzia e le grandissime emozioni che la Rapsodia mi ha sempre regalato, compresi i miei primi passi come musicista, vorrei segnalare una registrazione storica, datata 1960. Georges Prêtre dirige l’Orchestre de la Société des Concerts du Conservatoire e la parte solistica è affidata a Daniel Wayenberg. Tra le tante che possiedo questa è senza dubbio la migliore in quanto il caleidoscopio musicale che rappresenta il pulsare della vita americana voluto da Gershwin è trasportato con virtuosismo e delicatezza. Il pulsare ritmico di orchestra e pianoforte culmina nel grandioso finale che ci accompagna nell’America degli anni ’20, l’America del boom economico, l’America dei sogni, l’America di George Gershwin!
George Gershwin
Rhapsody in blue
Daniel Wayenberg: piano
Orchestre de la Socièté des Concerts du Conservatoire
Georges Prêtre
Sito Internet : www.emiclassics.com