DENTRO L’UOMO DI VIMINI

"The wicker man" dal 1973 ad oggi

In concomitanza con l’arrivo nelle sale del remake diretto da Neil LaBute (“Nella società degli uomini”, “Possession”) e interpretato da Nicolas Cage, l’uscita di una pregevole edizione in DVD per il mercato angloamericano ci consente di vedere e rivedere “The wicker man” (letteralmente: l’uomo di vimini), girato nel 1973 da Robin Hardy su una sceneggiatura di Anthony Shaffer.

Realizzato con un budget ridotto, The wicker man non riscosse a suo tempo un grande successo, ma si è guadagnato nel corso degli anni lo status di film di culto, dovuto all’estetica vagamente hippie che va sempre di moda e alla presenza nel cast di un mostro sacro come Christopher Lee, al tempo paladino dei film horror, con una netta predilezione per il personaggio di Dracula.
La storia è tanto lineare quanto intrigante: un semplice e spaesato poliziotto (Edward Woodward), in seguito ad una soffiata anonima, raggiunge l’isola di Summerisle per indagare sulla presunta scomparsa di una bambina (Geraldine Cowper). L’isola è abitata da una comunità dedita al culto pagano del sole, del mare e della terra, guidata da Lord Summerisle (Christopher Lee). Chiusi nella loro risoluta omertà, gli isolani negano che la bimba sia mai esistita, e nel frattempo scandalizzano il bonario sergente Howie con i loro riti a base di ragazze nude, simboli fallici, maschere zoomorfe e presunti sacrifici umani.


The wicker man
appartiene a suo modo a quel filone di cui fecero parte anche produzioni italo-americane quali Cannibal Holocaust e tutta la serie del cinema cannibale precedente e posteriore: le indagini di un occhio esterno, a volte esperto altre capitato lì per caso, su una comunità chiusa le cui radici e la cui cultura vengono aprioristicamente giudicate come negative e barbariche, sono qui sviluppate in modo più lucido che altrove, sebbene sceneggiatura e regia non siano esenti da facilonerie. I temi affrontati sono però piuttosto stimolanti: i pregiudizi con i quali la cultura mainstream si oppone alle realtà marginali, la presunta supremazia delle religioni ufficiali nei confronti delle sette e dei culti minori, il moralismo xenofobo di chi vorrebbe che tutto rientrasse negli angusti confini del perbenismo. Non mancano i difetti congeniti al cinema horror di serie B, che oggi faranno sorridere i più: pericolosi sbandamenti ideologici, schematismi forzati messi in atto per sostenere una tesi (in questo caso, quella della superiorità della vita selvaggia contro l’imborghesimento dilagante), comicità e volgarità involontarie ma non troppo, molta carne femminile al vento, inni alla sessualità disinibita (facili pretesti per un’altrettanto facile trasgressione).

La scelta di Christopher Lee per il ruolo dell’antagonista non è casuale, anzi sembra rimandare direttamente proprio ai film su Dracula da lui interpretati: anche la tradizione vampiresca consacrata da Bram Stoker, infatti, prevede che un punto di vista esterno si ponga in relazione con una realtà “altra”, perlopiù mostruosa e sanguinaria, o presunta tale. Che poi la performance di Lee regga praticamente tutto il film (specialmente se messa a confronto con quella di Woodward/Howie, l’inettitudine fatta attore e personaggio) è un dato di fatto: il suo Lord Summerisle vive un crescendo di gloria e potere che pochi altri personaggi nella storia del cinema hanno conosciuto.
Se nel remake l’insipienza attoriale di Cage serve bene lo scopo di rendere l’inebetito detective dall’orripilante nome di Edward Malus (!), la scelta di trasformare la comunità di Summerisle in una sorta di paradiso delle Amazzoni tutto al femminile travisa completamente lo spirito del film originale (il che non sarebbe un male di per sé), senza curarsi di ricontestualizzarne o aggiornarne le tematiche, che anzi vengono neutralizzate a favore di una insulsa trama da thriller. Morale della favola? L’originale di Hardy, pur non essendo un capolavoro, rivive nel mito e in una pregevole edizione director’s cut più profonda ed articolata, mentre quasi quattromila utenti del database imdb.com hanno rifilato al rifacimento di LaBute un pernacchievole 3 con demerito, relegandolo fra i peggiori film di sempre.

Postilla: The wicker man ha ispirato diversi epigoni dichiarati e non. Fra i tanti, ne segnaliamo due: Summerfield (titolo dalle sospette assonanze proprio con Summerisle), dell’australiano Ken Hannam, scritto da Cliff Green, che le vie del mistero insolubile le aveva già percorse con Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir; e il mediometraggio L’isola di Marco Finotello, che sostanzialmente ricalca la vicenda (finale incluso, praticamente identico) ambientandola sull’isola veneziana di Sant’Erasmo. Chi o cosa sia l’uomo di vimini è un mistero la cui unica soluzione risiede nella visione del film. Quello del ’73, naturalmente.